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I nostri mari sono invasi dalla plastica, che poi finisce nei nostri piatti. La dispersione dei rifiuti di plastica sta diventando sempre più preoccupante, tanto che diversi Stati stanno correndo ai ripari, e l’Europa sta tracciando la strada per affrontare il problema, con leggi apposite e divieti di commercializzare e usare alcuni oggetti di plastica, come i sacchetti della frutta e della verdura in vendita sfusi al supermercato. Dell’emergenza plastica abbiamo parlato insieme ad Antonio Cianciullo, giornalista esperto di temi ambientali e autore del libro ‘Ecologia del desiderio – Curare il pianeta senza rinunce’ edito da Aboca Edizioni.
Le acque del nostro pianeta sono invase dalle plastiche. Negli oceani ci sono cinque vortici di rifiuti, sono delle isole galleggianti di plastica, che vengono trascinate dalle correnti e tendono ad aggregarsi fino a formare quella che è stata chiamata una ‘zuppa’. La più grande di queste isole di spazzatura che galleggiano sta nel Pacifico, davanti alle coste americane, e in alcuni punti è spessa fino a 10 metri, sottolinea Antonio Cianciullo.
Ma i rifiuti non restano a galleggiare, tanti finiscono sulle coste. Secondo l’indagine Beach Litter 2018 condotta da Legambiente, su 78 spiagge monitorate, per un totale di oltre 400mila metri quadri (pari a quasi 60 campi di calcio), sono stati trovati una media di 620 rifiuti ogni 100 metri. Nell’80% dei casi, si tratta di rifiuti di plastica.
Parliamo di un problema recente perché il ‘caso plastica’ ha più o meno mezzo secolo: ”In questo percorso temporale la produzione è aumentata di 20 volte e oggi siamo attorno ai 300 milioni di tonnellate/anno e ogni anno 8 milioni di tonnellate finiscono in mare”, continua Cianciullo chiarendo però che un modo per superare il problema c’è: “E’ quello di cambiare sistema di produzione: la soluzione c’è, basta adottarla. Da questo punto di vista l’Ue ha detto delle cose molto precise”.
Come le 4 direttive del ”pacchetto dell’economia circolare” che dopo la recente pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale sono ormai definitive e legge per l’Europa. Queste direttive prevedono che ci sia uno spostamento dall’economia lineare all’economia circolare, in nome da usare materie prime riciclate per ottenere nuovi oggetti. “Il rimedio è quello di recuperare i materiali che noi utilizziamo. Un rimedio straordinario perché in questo modo si riesce a rilanciare un’economia che da dieci anni conosce una crisi che è legata anche a problemi di tipo ambientale e allo stesso tempo si riescono ad aumentare i posti di lavoro. L’Enea ha quantificato in più di 500mila posti di lavoro in Italia la possibilità che si può creare grazie a un rilancio dell’economia circolare”, spiega il giornalista.
“Dunque il rilancio del riciclo è una priorità per l’Europa ma non è l’unica. L’altra grande strategia che l’Europa invita a seguire è quella della riduzione dei rifiuti. Nel caso della plastica riducendo fortemente l’usa e getta: abbiamo in discussione a Bruxelles una nuova direttiva che prevede l’eliminazione di 10 oggetti usa e getta: piatti e posate di plastica, cannucce, cotton fioc”, spiega Cianciullo.
Anche i singoli Paesi, dalla Gran Bretagna all’India fino all’Italia, hanno annunciato o già introdotto leggi in questa stessa direzione. Favorendo, tra l’altro, le alternative green come gli shopper biodegradabili e compostabili.
Perché, come recita il sottotitolo del libro, ‘curare il pianeta’ è possibile. “Tutto questo si può fare senza rinunce, perché ci sono sostituti, la tecnologia è in grado di mettere sul mercato oggetti che possono essere più gradevoli da maneggiare e che non vanno buttati. Perché buttare gli oggetti dopo averli usati per pochi minuti quando questi resistono per secoli, magari, in mare è un atto di inciviltà”, sottolinea Cianciullo.
Ma non solo, è un problema che riguarda anche la nostra salute, da vicino, perché nel Mediterraneo la situazione non è migliore, l’emergenza è data dai micro-frammenti di plastica presenti in acqua: “C’è una grandissima quantità di microparticelle di plastica che in alcuni tratti arrivano a una densità straordinaria: si parla di più di un milione di frammenti per chilometro quadrato che in buona parte finiscono scambiati per cibo nelle pance dei pesci. Questi pesci sono i postini dell’inquinamento perché riportano a noi, che li abbiamo emessi, i rifiuti”, spiega ricordando anche che “inglobate in queste particelle ci sono sostanze tossiche che finiamo per riaccumulare nel nostro corpo mangiando i pesci”.
In collaborazione con AdnKronos
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