Che la plastica nei pesci compromettesse l’intero ciclo alimentare finendo anche nelle nostre tavole era cosa già nota alla scienza e all’opinione pubblica, a seguito della diffusione globale dell’inquinamento dei mari prodotta dai rifiuti dell’uomo: ora, grazie a uno studio dell’Università di Gent in Belgio, abbiamo anche un’idea più precisa degli effetti sull’uomo di questa abnorme presenza di plastica nei pesci. Chi mangia abitualmente mitili e specie ittiche varie, spiegano i ricercatori, ingerisce più di 11mila frammenti di plastica ogni anno.
Secondo il report, l’ultimo al momento di una lunga serie di studi sull’inquinamento delle microplastiche nei mari effettuati dal team guidato dal professor Colin Janssen, l’accumulo di queste microscopiche particelle, che finiscono con essere ingerite dai pesci come anche dagli uccelli, potrebbe causare danni a lungo termine influendo anche sulla salute umana. Ha spiegato Janssen in un’intervista a Sky News: ‘Abbiamo dimostrato che questi frammenti entrano nel nostro corpo attraverso il pesce che ingeriamo e possono rimanerci per un po’ di tempo. Quindi abbiamo bisogno di capire che fine fa quella plastica. Dove va a finire? Viene inglobata e ‘dimenticata’ dal corpo oppure causa infezioni o altri danni‘?
Il professore e il suo staff di collaboratori non hanno una risposta precisa in merito, ma vale la pena di indagare per capire quali possono essere le conseguenze di questa plastica ingerita nel nostro organismo, seppur per via ‘indiretta’. Negli oceani galleggiano all’incirca 5mila miliardi di pezzi di plastica, e più del 99 per cento di questi micro-frammenti giunge al corpo organismo mediante il cibo che si ingerisce. E se oggi sono ‘solo’ 11mila minuscoli pezzettini che finiscono nel nostro corpo, se non si interverrà contro l’inquinamento marino entro la fine del secolo, diventeranno 780mila i pezzi di plastica ingeriti dai consumatori di pesce, assorbendone 4mila attraverso l’apparato digerente. Tutta la plastica prodotta dall’uomo, che notoriamente richiede moltissimo tempo per essere smaltita dall’ambiente, come una sorta di nemesi sembra essere destinata a tornare da noi, con il rischio di mettere fortemente in pericolo la salute.