Uno degli aspetti che più spaventa della presidenza di Donald Trump è la politica estera, almeno quella che ci ha consegnato la campagna elettorale. Non è solo l’incognita di una personalità fuori dagli schemi e senza alcuna esperienza, nazionale e internazionale. Gli Stati Uniti sono la più grande potenza del mondo occidentale e l’impatto della loro politica estera ha ripercussioni sul mondo intero, compresa l’Italia. Alcune argomentazioni del neo eletto presidente hanno fatto rizzare le antenne a più di un governo: le accuse e gli insulti agli immigrati (in particolare ai messicani), ma soprattutto le forti affermazioni sull’Islam e sui musulmani non hanno certo rasserenato un clima internazionale già teso. A tutto ciò si contrappone un’altra incognita: il rapporto con la Russia di Vladimir Putin con cui, assicura da tempo, lavorerà per una nuova fase distensiva. Vediamo più nel dettaglio quali sono i pilastri della politica estera di Trump.
AMERICA FIRST: Una premessa. Come già detto nell’analisi di tutto il programma, anche per la politica estera vale l’avvertenza di un possibile ammorbidimento nel corso della presidenza: i toni e le strategie potrebbero essere meno duri di quanto visto in campagna elettorale, oppure no.
In ogni caso, la politica estera del nuovo presidente si potrebbe riassumere in una frase: prima l’America. In realtà, Trump non fa altro che palesare il motore della politica americana degli ultimi decenni, cioè l’interesse supremo degli Stati Uniti in ogni angolo del mondo. Anche Barack Obama ha messo al centro dei suoi interventi internazionali il benessere del paese ma con un’ottica molto diversa, facendo più leva sulle azioni diplomatiche e le armi di ultima generazione che sul classico intervento militare. Trump è l’esatto opposto. Si è detto un convinto militarista e ha assicurato più volte in campagna elettorale che avrebbe aumentato i fondi alla difesa in nome della sicurezza e della lotta al terrorismo. Ha dichiarato di voler “la miglior intelligence del mondo”, raccogliendo tutti i dati possibili (alla faccia di Edward Snowden e soci) e si è detto pronto a rivedere molti temi dell’agenda politica di Obama.
NATO: Il punto che più ci riguarda da vicino è la gestione NATO. L’Alleanza Atlantica, di cui fa parte anche l’Italia, è a marcia americana di cui è cuore e fondamento soprattutto economico, visto che il 75 per cento dei finanziamenti arrivano dagli Stati Uniti. Trump non ha mai nascosto la sua avversione per la NATO che ha giudicato più da un punto di vista economico che strategico, arrivando a dire che l’investimento non vale la candela. “Spendiamo una fortuna per i militari per perdere 800 miliardi di dollari”, ha ricordato in campagna elettorale, tanto che ha parlato chiaramente di rivedere l’intervento americano, chiedendo all’Europa di fare di più dal punto di vista economico. La sua visione ha allarmato Jens Stoltenberg, il segretario generale, che è intervenuto a ridosso dell’elezione per chiarire che “la pace in Europa è importante anche per la sicurezza degli Stati Uniti”.
EUROPA: La questione NATO si lega alla visione di Trump dei rapporti con l’Europa che non pare proprio interessare al presidente eletto. A differenza di Barack Obama, il tycoon non ha mai espresso opinioni lusinghiere nei confronti dell’UE, anzi, non ne ha praticamente parlato se non indirettamente. Anche dall’altro lato non si è mai avuta un’eccellente visione di Trump: molti leader e le istituzioni europee hanno guardato con apprensione alla sua ascesa e hanno dovuto chiarire che i rapporti tra Vecchio e Nuovo Continente (a stelle e strisce) sono solidi ma paritari, come ha dichiarato Jean-Claude Juncker. A festeggiare sono stati soprattutto i leader populisti di mezza Europa, da Nigel Farange (promotore di quella Brexit a cui Trump si è paragonato), a Marie Le Pen del Front National in Francia, fino Matteo Salvini e a Beppe Grillo del M5S, scatenando tra l’altro una mini polemica tra il leghista e l’ex comico, da lui accusato di “salire sul carro del vincitore”. L’elezione di Trump spaventa l’Europa anche perché potrebbe dare ancora più vigore ai movimenti populisti che attraversano il Vecchio Continente. Infine, visto il protezionismo di cui si è fatto alfiere in materia economica, l’accordo di libero commercio con l’Europa, il cosiddetto TTIP, potrebbe saltare.
LA RUSSIA: Il capitolo più importante riguarda la Russia di Vladimir Putin. Trump ha sempre detto di essere pronto a sedersi al tavolo per riprendere il dialogo con Mosca dopo il periodo di gelo dell’amministrazione Obama, tra la questione Ucraina, le sanzioni, il caos in Siria e la lotta all’Isis. Non a caso il presidente russo è stato il primo leader internazionale a fargli i complimenti per la vittoria.
MEDIO ORIENTE: Collegato alla Russia, c’è il Medio Oriente dove la strategia di Trump è diametralmente opposta a quella di Obama. Il presidente eletto potrebbe rivedere lo storico accordo firmato con l’Iran e, soprattutto, vuole mettere mano a tutta la strategia sulla lotta al terrorismo. Il suo obiettivo, ha dichiarato in campagna elettorale, è sconfiggere l’Isis con tutti i mezzi, anche se vuol dire usare il pugno duro. A pagare le conseguenze più dure potrebbe essere la Siria e l’Iraq (da cui si sono appena ritirate le truppe americane), i territori ancora in mano a Daesh, che potrebbero vedere un’escalation militare senza precedenti.
L’ASIA: Rapporti problematici anche con l’Asia con il ribaltamento della politica del “pivot to Asia”, cioè il riequilibrio dei rapporti, espressione e strategia creata dall’ex Segretario di Stato Hillary Clinton e mai abbandonata sotto Obama. Sei i pilastri su cui si fonda: rafforzamento delle alleanze bilaterali; relazioni più approfondite con le potenze in ascesa, tra cui la Cina; creazioni di istituzioni multilaterali regionali; espansione del commercio e degli investimenti; ampia base per la presenza militare; promozione dei diritti umani. Nulla di tutto questo interessa a Trump, a partire dalla Cina che viene indicata come il nemico numero uno dell’economia americana. Anche in questo caso, il presidente eletto ha legato il possibile intervento USA in Asia agli investimenti delle potenze asiatiche nella loro difesa, aprendo alla possibilità che Giappone e Corea del Sud abbiamo armi nucleari. Le reazioni sono state pessime, tanto che Kim Jong-un, appena eletto Trump, ha fatto sapere che da ora in poi gli Stati Uniti dovranno trattare la Corea del Nord come una nazione alla pari, cioè una potenza nucleare.
L’AMERICA: Anche con il resto del continente non sembra esserci una politica di apertura, anzi. Trump ha costruito la sua vittoria sulla lotta all’immigrazione clandestina con il fatidico muro al confine col Messico, muro che, ricordiamo, ha detto avrebbe fatto pagare al paese confinante. Il tycoon ha anche incontrato il presidente messicano Enrique Penha Nieto e ha insistito sulla necessità del muro, ricevendo un “no grazie” soprattutto per il pagamento dell’opera. In campagna elettorale Trump si è scagliato con violenza contro i messicani che ha definito “stupratori e ladri” e non ha mai ritrattato tali giudizi, creando un clima di malcontento con il diretto vicino e di paura con il resto del Continente. Il Canada si è affidato alle parole diplomatiche del premier Justin Trudeau, nuovo idolo liberale delle folle: confermata la notizia dell’elezione dl Trump, il sito del dipartimento dell’immigrazione canadese è andato in down per eccesso di visite.
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