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Politici ‘scrocconi’: polemiche per l’obbligo dello scontrino al bar di Montecitorio

I politici, che strane persone. Tutti bravi a dichiarare guerra all’evasione fiscale, puntando il dito contro chi non fa lo scontrino e poi, quando si tratta del loro bar alla buvette di Montecitorio, sono i primi a non pagare. Come racconta Repubblica, Compass spa, società che ora gestisce il bar della Camera, ha dovuto mandare una direttiva ai dipendenti per obbligare i deputati a mostrare lo scontrino prima di essere serviti, scatenando reazioni indignate da parte degli onorevoli. Così, accade che l’ex ministro Maurizio Lupi si offenda perché gli viene chiesto lo scontrino prima di essere servito. “Ma siete impazziti? Io consumo e poi pago, come in tutti i bar del mondo!”, la sua reazione raccolta dal quotidiano. Chi lo dice ai politici della “casta”, chiusi nel loro mondo dorato, che nella vita reale succede già?

La decisione di Compass Group è arrivata per una causa ben precisa: alla Camera c’è un esercito di scrocconi, deputati da 15mila euro al mese, che non pagano neanche il caffè. Quando la società ha rilevato il bar di Montecitorio, in un’ottica di tagli alle spese, aveva fatto due calcoli: secondo quanto speso negli anni prima, la previsione d’incasso era di 500mila euro l’anno. I conti reale invece sono più bassi del 30%, con un calo di circa 100mila euro.

Repubblica svela che i vertici della società sono andati di persona a controllare cosa succedesse e hanno visto con i loro occhi l’esercito dei “furbetti”, che si dimenticano di pagare e continuano a consumare come se nulla fosse. Con stipendi così alti, è pazzesco che non si paghino neppure il caffè, eppure è proprio quello che è successo, e non è neanche la prima volta.

Ad agosto 2015, la Presidenza della Camera decide di tagliare le spese e dà in gestione il bar di Montecitorio. Prima però deve chiudere i conti e cosa si scopre? Mancano 20mila euro di caffè non pagati: 34 deputati non hanno saldato i conti aperti. Sì, perché tra i tanti privilegi, i deputati possono ricorrere al “pagherò” quando non hanno contanti o hanno fretta, tra una votazione e l’altra.

Fosse solo questo. Invece, nel corso degli anni politici di ogni schieramento hanno usufruito di “benefit aziendali” pagati dai cittadini, con costi irrisori per mangiare nel cuore di Roma. Il ristorante del Senato ha adeguato i prezzi nel 2011, sotto la presidenza di Renato Schifani, con un solo risultato: il ristorante ha chiuso perché i senatori non volevano pagare 10 euro per una bistecca. Nel 2014 quel ristorante è diventato una tavola calda, con piatti freddi, panini e qualche specialità calda. Risultato? Per un pranzo completo si spende intorno ai 10 euro.

Eppure, c’è stato chi si è lamentato della “qualità della vita” a Montecitorio e Palazzo Madama. Nel 2007 Rocco Buttiglione firmò con altri parlamentari, una lettera per chiedere di inserire il gelato al bar del Senato. “Ci rivolgiamo a voi con una richiesta di miglioramento della qualità della vita in Senato. La buvette non è provvista di gelati. Noi pensiamo che sarebbe utile che lo fosse e siamo certi di interpretare in questo il desiderio di molti. È possibile provvedere? Si tratterebbe di adeguare i servizi del Senato alle esigenze della normale vita quotidiana delle persone”, così recitava il testo, riportato dai media di allora.

Lorena Cacace

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