Rischio “atenei fantasma” secondo una nuova ricerca.
Il gettito mancante potrebbe raggiungere i 600 milioni di euro.
Delle conseguenze nefaste del calo demografico in Italia si è parlato e scritto in lungo e in largo. Ormai il tema è noto e anche la situazione in cui versa il Bel Paese: popolazione sempre più vecchia e in costante diminuzione, nuove nascite al palo e così via. Anche le cause ormai si conoscono molto bene, eppure un aspetto nuovo e forse ancora poco esplorato è quello relativo alle ripercussioni di questa situazione sugli atenei.
Secondo uno studio condotto da “Talents Venture” – società operante nel settore della consulenza e in particolare specializzata nell’istruzione accademica – se la rotta che ormai sembra essere inesorabilmente tracciata non dovesse invertirsi, il fenomeno produrrà entro il 2040 anche lo spopolamento nelle università. E 13 anni sono relativamente pochi per una tendenza che va avanti da decenni.
Il rischio di “atenei fantasma”, secondo lo studio, potrebbe verificarsi a causa della combinazione di due fenomeni: le poche nascite e la mobilità crescente degli studenti residenti al Sud che si spostano per studiare altrove. Così le “università rimaste a presidio dei territori potrebbero essere frequentate solo da chi ci lavora.”
Nella ricerca intitolata “Il declino demografico minaccia tutto il sistema universitario”, il pericolo più grande lo corrono gli atenei del meridione. Entro il 2040 in Sardegna, Basilicata e Puglia è prevista una riduzione della popolazione pari al 34% nella prima, del 33% nella seconda e del 32% nella terza rispetto ai dati del 2023. Nel Mezzogiorno la popolazione della fascia 18-21 anni diminuirà fino a arrivare nel 2040 a essere pari a circa 414mila unità, quando nel 2010 era di 703mila.
Pier Giorgio Bianchi, l’amministratore della società che ha condotto lo studio, ha affermato che le 15 sedi didattiche presenti nei territori che registreranno il declino demografico maggiore si trovano tutte nel Mezzogiorno. Già nell’anno accademico 2021-2022 6 sedi avevano meno di 100 studenti immatricolati al primo anno. Mentre il 18% dei corsi di laurea italiani aveva 20 iscritti o meno. Con così pochi iscritti è difficile quindi andare avanti. Le criticità maggiori sono in Basilicata, Sicilia e Molise.
Se i trend demografici saranno confermati, secondo lo studio alcuni atenei tra cui anche la Federico II di Napoli vedranno una riduzione tra il 15% e il 24% degli immatricolati in sede già entro il 2030.
Inoltre nemmeno le università del Centro-Nord si salveranno. Entro il 2040 14 dei 15 atenei che hanno più iscritti da altre regioni potrebbero a loro volta subire il calo delle immatricolazioni al primo anno, che potrebbero essere inferiori di oltre il 20%. Tra questi Bologna, La Sapienza di Roma, il Politecnico di Milano, Cattolica di Milano, Politecnico di Torino, Padova, Parma e Trento. Questo perché la popolazione calerà molto, proprio in quelle regioni a alta mobilità studentesca.
Meno immatricolazioni vuol dire anche dover rinunciare agli introiti. Una contrazione della popolazione in età universitaria vorrebbe dire una contrazione che rischia di pesare molto sulle mancate entrate. Nel 2040 potrebbe verificarsi un mancato gettito di oltre 600 milioni di euro.
Insomma una situazione che in prospettiva è tutt’altro che rosea. La società della ricerca allora suggerisce di diminuire l’offerta formativa e quindi snellire la struttura organizzativa degli atenei. Poi cercare di invogliare più studenti a iscriversi alle accademie dopo le superiori, così come cercare di attrarre anche più studenti internazionali e giovani adulti che vogliano riprofessionalizzarsi.
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