Il giudice Gaetano Maria Amato, in servizio alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, è stato arrestato dalla polizia di Messina con un grosso capo d’accusa: pornografia minorile. L’uomo ha 60 anni, da sempre è considerato un insospettabile, nonché una persona precisa. Ma il gip della città dello Stretto non la pensa allo stesso modo: su richiesta del procuratore Maurizio De Lucia e dell’aggiunto Giovannella Scaminaci, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.
La Procura ha fatto sapere che al momento non saranno resi noti altri particolari sull’inchiesta per preservare le giovani vittime. Amato, per dieci anni, è stato presidente della sezione civile della Corte d’Appello, all’inizio dell’anno è passato alla sezione penale. La sua carriera in magistratura era iniziata come pretore e Naso, poi il trasferimento a Messina, prima al Tribunale civile, poi a quello fallimentare. Poi l’approdo alla Corte d’Appello di Reggio Calabria.
Prima di trasferirsi da una parte all’altra dello Stretto, il giudice subì un procedimento del Consiglio superiore della magistratura per un presunto ritardo nel deposito degli atti. Nella contestazione, si faceva riferimento alle troppe sentenze del magistrato depositate oltre i termini. Il Csm lo dichiarò colpevole e lo sanzionò con un’ammonizione. Nel giugno del 2016, Amato ha tenuto una conferenza stampa per difendere l’operato di una collega, che non aveva osservato i tempi per la redazione delle motivazioni della sentenza del processo ‘Cosa mia’ sulle cosche di ‘ndrangheta di Rosarno. Il mancato rispetto dei termini portò alla scarcerazione di tre affiliati.
Adesso, però, sul banco degli imputati ci sarà lui, il giudice Gaetano Maria Amato. Il reato contestato è il 600 ter, che elenca una serie di comportamenti: dalla diffusione di materiale pedopornografico fino all’adescamento di minori. A seconda della gravità, si va da una pena detentiva di 6 anni fino a una di 12 anni. Il giudice rischia poi la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, con la collocazione fuori dal ruolo della magistratura. Sarà la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura a valutare.
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