Circa una settimana fa è stato ucciso un filippino a Roma, in Valle Aurelia, oggi è stato portato in comunità un ragazzo coinvolto.
Si tratta del 16enne che insieme al padre si è reso responsabile dell’agguato al badante filippino Michael Lee Pon. Lo ha raggiunto quel 19 febbraio nei pressi della stazione della metropolitana e insieme al padre e ad altre persone, lo ha accoltellato a more.
L’omicidio del filippino a Roma, 16 enne in comunità protetta
Michael Lee Pon è in nome del 50enne filippino che intorno alle 19 del 19 febbraio è stato ucciso da un gruppo di persone nei pressi della stazione della metropolitana romana, Valle Aurelia.
Non è chiaro il movente e a tal proposito i Carabinieri hanno cercato a lungo dei testimoni di quando accaduto. Una morte terribile causata da diverse coltellate, in particolare un fendente al torace sferrato da Renato Peralta, l’uomo di 43 anni che pochi giorni fa si è presentato insieme al figlio 16enne al commissariato dei Carabinieri di Tor Vergata.
Mentre le indagini della Scientifica proseguono per accertare i dettagli di questa storia, l’uomo si è addossato la colpa ed è stato arrestato per omicidio ma alcuni provvedimenti sono stati presi anche nei confronti del figlio.
È intervenuto il Tribunale dei Minori poiché il ragazzo ha solo 16 anni ma il suo coinvolgimento è tale che nei suoi confronti c’è l’accusa di concorso in omicidio.
La confessione dell’uomo è stata la vera svolta nelle indagini e mentre quest’ultimo è stato condotto nel carcere di Regina Coeli, il figlio è stato collocato in una struttura protetta.
Gravemente indiziato per aver commesso l’omicidio insieme a suo padre, il 16enne si trova in una comunità protetta, dove la Squadra Mobile della Questura romana lo ha condotto in seguito alla decisione del Tribunale.
In queste ore verrà nuovamente ascoltato dagli inquirenti, che stanno verificando ancora una volta anche le parole del padre per capire il movente della spedizione punitiva ai danni del filippino.
Secondo gli ultimi dettagli emersi, sembra che fosse proprio quest’ultimo ad essere armato e i due si sono solamente difesi. I Carabinieri intanto stanno cercando le altre persone coinvolte per capire la verità.
La confessione
Decisiva la deposizione di Renato Peralta, che avrebbe detto agli inquirenti mentre si costituiva, che Michael Lee Pon brandiva un coltello e pretendeva dei soldi. Lo minacciava spesso e stando alle parole del 43enne, è accaduto tutto per un debito legato a dosi di shaboo, ovvero della metanfetamina molto comune nella comunità filippina.
Presentandosi al commissariato romano avrebbe supplicato gli agenti di proteggere suo figlio, presente alla zuffa insieme ad altri giovani che però sarebbero estranei alla vicenda.
“mi sono solo difeso e ho voluto proteggere il mio ragazzo, dopodiché sono fuggito spaventato da come era degenerata la cosa e anche perché non ho il permesso di soggiorno e non volevo essere preso”.
Il suo legale ha riferito che l’uomo vuole collaborare ma è disperato perché ha paura che il figlio rimanga solo, tuttavia non avverrà perché ci sono altri parenti in città.
Il 43enne ha un precedente per spaccio, proprio come Lee Pon.