Il 18 maggio del 2017 Alice Schembri si è tolta la vita annunciando la sua drammatica decisione in un ultimo post su Facebook.
Due anni prima era stata violentata da 4 adolescenti, che lei conosceva bene, e il video della violenza era poi finito nella chat della comitiva, condiviso ed esposto al pubblico ludibrio. Dopo la morte di Alice, la denuncia per istigazione al suicidio era stata archiviata, ma, nelle scorse ore, la procura di Agrigento ha riaperto il caso.
La procura di Agrigento ha chiuso l’inchiesta e per due di loro ha chiesto il rinvio a giudizio, per gli altri due, che erano minorenni all’epoca dei fatti, la competenza è della procura dei minorenni. Le accuse da cui dovranno difendersi sono di produzione di materiale pedopornografico e violenza sessuale di gruppo.
Secondo i pubblici ministeri, quando era stata violentata, Alice Schembri era sotto effetto dell’alcol, ma questo non avrebbe fermato i quattro indagati, che si sarebbero quindi approfittati delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della vittima.
«Nessuno di voi sa e saprà mai con cosa ho dovuto convivere da un periodo a questa parte. Quello che mi è successo non poteva essere detto. Io non potevo. E questo segreto dentro di me mi sta divorando. Non sono una persona che molla, ma questa volta non posso lottare. Perché non potrò averla vinta mai, come però non posso continuare a vivere così, anzi a fingere così».
È questo l’ultimo post pubblicato sul profilo social di Alice Schembri, la 17enne che il 18 maggio del 2017 si è lanciata dalla Rupe Atenea di Agrigento. Un volo di centinaia di metri, per cancellare l’onta di quanto aveva subito. Due anni prima, la ragazza era stata violentata da quattro adolescenti – che lei frequentava abitualmente – e che avevano ripreso quell’orrore in un video.
Come se non bastasse la violenza, a spegnere per sempre il sorriso di Alice ci aveva pensato la vergogna di vedere le immagini di quell’abuso circolare tra le varie chat whatsapp. Il video infatti era finito tra le conversazioni della comitiva, condiviso ed esposto al pubblico ludibrio.
Una crocifissione in pubblica piazza, per lei che era soltanto la vittima, ma si sentiva – suo malgrado – l’unica colpevole.
«Non voglio, non posso, mi uccido, no ti prego .. mi sento male».
Secondo i pubblici ministeri della Procura di Palermo, quando era stata violentata, Alice Schembri era sotto effetto dell’alcol, ma questo non avrebbe fermato i quattro indagati, che si sarebbero quindi approfittati delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della vittima.
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