Il 18 maggio del 2017 Alice Schembri – 17 anni – si tolse la vita, lanciandosi dalla Rupe Atenea di Agrigento. Due anni prima di quella drammatica decisione, la ragazza era stata stuprata da un gruppo di coetanei, che lei conosceva, e il video della violenza era finito nella chat di gruppo.
Per la sua morte il gup di Palermo ha rinviato a giudizio due giovani, che dovranno difendersi dalle accuse di violenza sessuale di gruppo e produzione di materiale pedopornografico. La prima udienza del processo è stata fissata per il 4 dicembre prossimo. I genitori di Alice si sono costituiti parte civile.
«Nessuno di voi sa e saprà mai con cosa ho dovuto convivere da un periodo a questa parte. Quello che mi è successo non poteva essere detto. Io non potevo. E questo segreto dentro di me mi sta divorando. Non sono una persona che molla, ma questa volta non posso lottare. Perché non potrò averla vinta mai, come però non posso continuare a vivere così, anzi a fingere così».
Sono queste le ultime parole che Alice Schembri – 17 anni – ha affidato al suo profilo Facebook, prima di lanciarsi nel vuoto, il 18 maggio del 2017, e porre per sempre fine alla sua vita. Il segreto cui si riferiva era la violenza subita due anni prima da parte di quattro coetanei, che avevano filmato lo stupro e avevano poi condiviso le immagini della violenza nella chat di gruppo. Un abominio, passato di cellulare in cellulare e un ludibrio che Alice non è riuscita a sopportare, tanto da aver deciso di lanciarsi dalla Rupe Atenea di Agrigento per mettere fine alle sue sofferenze.
È notizia di questa mattina che il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Palermo ha deciso di rinviare a giudizio due dei quattro indagati per la violenza inflitta ad Alice Schembri. Per i due le accuse sono di produzione di materiale pedopornografico e violenza sessuale di gruppo. La prima udienza del processo è stata fissata per il 4 dicembre prossimo. I genitori della vittima si sono costituiti parte civile, mentre i legali dei due indagati avevano chiesto – e non ottenuto – il non luogo a procedere per i loro assistiti.
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