Il processo per la morte di Yara Gambirasio prosegue e nell’ultima udienza in cui è chiamato a parlare Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore di Mapello unico accusato della morte della 13enne di Brembate (Bergamo), l’uomo ha sostenuto che il furgone ripreso la sera del 26 novembre 2010 (giorno della scomparsa della giovane) dalle telecamere di sorveglianza di Brembate di Sopra non è il suo, anche se “è simile”. I giudici della Corte di Assise hanno effettuato una singola domanda a Massimo Bossetti, proprio a proposito di tale furgoncino Iveco, e lui ha escluso a colpo d’occhio che fosse il suo, spiegando che “in quell’autocarro il cavalletto” posto a protezione della cabina “è più alto rispetto al mio” perché “il mio resta massimo 2, 3 o 4 centimetri più alto rispetto alla cabina“. Il processo continua il 18 marzo con una serie di testimoni richiesti dalla difesa di Bossetti che mira a smontare la ricostruzione dell’accusa su come si sarebbero svolti i fatti la sera del 26 novembre 2010.
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La seconda udienza: ”Quel DNA non è mio”Il principale imputato ha continuato a negare che il Dna trovato sul corpo della ragazzina sia il suo. Anche per questo secondo appuntamento l’aula del tribunale di Bergamo è piena di persone, è presente anche la moglie Marita Comi, ma non sono ammesse né telecamere né alcun tipo di registrazione per quella che sarà l’ennesima versione di Bossetti, in carcere dal 24 giugno 2014. Bossetti sostiene a gran voce che il Dna trovato sugli abiti di Yara non gli appartiene, ”è un Dna stramplato che per metà non corrisponde. Tirate fuori le vere prove”, ha risposto al pm Letizia Ruggeri. E quando il magistrato gli ha chiesto se sapesse come mai il suo Dna è finito sui vestiti della ragazzina, ha affermato: ”Assolutamente no, quel Dna non mi appartiene”. Poi ha ribadito che conosceva la ragazzina “solo di vista“, rivedendo in qualche modo quanto affermato nella prima udienza. A proposito delle ricerche fatte su internet ha sostenuto di non avere mai cercato le parole ”ragazzine o tredicenni”, mentre ha ammesso che insieme alla moglie talvolta “in intimità, quando i figli erano a letto” guardavano siti con contenuti a luci rosse. Poi ha ripetuto di aver pensato che Yara fosse stata uccisa per metterlo nei guai, parole che aveva già pronunciato durante un interrogatorio, quando aveva espresso i suoi sospetti nei confronti dell’ex datore di lavoro Massimo Maggioni, che lo ha denunciato per calunnia. E circa il momento dell’arresto avvenuto il 16 giugno del 2014 mentre lavorava in cantiere a Seriate, ha dichiarato di avere provato tantissima paura: ”Sono arrivati 30 o 40 carabinieri con le auto e le pettorine, come se fossi uno spacciatore di droga, neanche per Totó Riina. Avevo pensato che mi picchiassero tutti lì insieme. In quel momento stavo svenendo, nessuno mi ha spiegato cosa stesse succedendo, né perché mi stessero portando via”.
La prima udienza: ”No l’ho mai vista né conosciuta”Nella prima udienza muratore di Mapello si è presentato in aula con una felpa blu e jeans chiari ed è apparso calmo e controllato. Ad interrogarlo per prima è stata la pm Letizia Ruggeri, alla quale ha raccontato: ”Non ho mai conosciuto Yara, nè nessuno dei membri della sua famiglia. Conoscevo solo il signor Gambirasio e solamente di vista. Non ho mai visto Yara”. Incalzato dalla pm che gli ha chiesto come mai gli edicolanti di Brembate di Sopra, e in particolare il gestore del chiosco davanti alla palestra (dai quali il muratore di Mapello dice di aver acquistato praticamente ogni sera “figurine, Gormiti o braccialetti” per i figli prima di rientrare a casa) non si ricordassero di lui come un cliente abituale, ha risposto: ”Non sto mentendo, come tanti altri che si sono seduti su questa sedia prima di me. Gli edicolanti hanno mentito. Lascio fuori i miei consulenti, perché almeno loro hanno detto la verità – ha aggiunto – ma tutti gli altri hanno mentito.
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La difesa alla vigilia dell’audizione di Bossetti“Bossetti è carico, tranquillo e pronto a raccontare la sua verità, non vede l’ora di parlare“, hanno dichiarato i suoi legali, gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini alla vigilia della prima udienza con cui si è aperto il processo a carico di Bossetti, iniziato con la perizia fatta dai consulenti informatici dei Carabinieri, il tenente Giuseppe Specchio e il maresciallo Rudi D’Aguanno del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche di Roma (Racis), sulle ricerche pedo-pornografiche ritrovate nel suo pc: il loro contro interrogatorio è durato a lungo, facendo slittare la deposizione dell’imputato.
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