Sulle pagine del Washington Post una insegnante ha voluto spiegare la sua imbarazzante vicenda reclamando per se stessa la dignità ”perduta” per un errore fatto a scuola. L’insegnante della Drexel University Thomas R. Kline School of Law, Lisa McElroy, ha così voluto affrontare la realtà raccontando tutto con una lettera aperta scritta, firmata e postata sul sito nel quotidiano. Tutto accadde quando, per un errore, copiò un link sbagliato ai suoi studenti, e invece di un articolo li diresse (inconsapevolmente) verso un video a luci rosse.
Cercando di spiegare che dalla vergogna si può uscire, la prof ha scritto: ”Stavo male ancora prima che la notizia circolasse: quando ho scoperto cosa avevo fatto, mi sono sentita mortificata pensavo di non potermi riprendere mai più”. Poi ha annunciato il suo sbaglio alle figlie: ”Come madre, voglio essere un modello per le mie figlie adolescenti. Ed egoisticamente, tengo alla mia dignità. Dopo quello che era successo ero sicura di aver perso la mia dignità per sempre. Tutti si stavano chiedendo se guardassi dei porno, se usassi dei sex toys, o se mi piacesse il sesso strano. Altre persone mi chiedevano di lasciare il lavoro e la licenza da avvocato”.
Ma poi è intervenuta la direzione dell’Università a dare speranza a questa prof umiliata: ”Dopo una breve indagine interna, l’università ha appurato che non ho violato alcuna regola interna né commesso alcun reato. Eppure nessuno ha messo in discussione la dignità di quelli che hanno fatto circolare la mia mail. Nessuno ha chiesto perché, se era così offensiva, gli studenti abbiano comunque aperto il link e guardato il video quanto basta per sapere esattamente cosa conteneva. Nessuno ha messo in discussione la dignità della sopracitata gente che ha ripreso e discusso la storia”.
In conclusione: ”Ecco cosa ho imparato: perdere la dignità non è come perdere la verginità (sì, mi rendo conto del peso delle parole). Puoi tornare indietro e riprendertela. Puoi riabilitare la tua reputazione e la tua immagine pubblica. Puoi arrivare a capire che ci sono cose peggiori che una pubblica umiliazione: c’è il cancro, o la solitudine“.