A seguito delle dichiarazioni di Giuseppe Valditara, il ministro dell’istruzione e del merito all’interno di una puntata messa su Sky Tg24 si è parlato a lungo del del lavoro dei professori.
Al centro della questione c’è la differenza dei compensi di coloro che lavorano come insegnanti nelle scuole che percepiscono in base all’area d’Italia in cui lavorano.
Nelle ultime ore non si parla d’altro che dell’intervento portato avanti da Giuseppe Valditara, il ministro dell’istruzione e del merito.
Quest’ultimo ha parlato a lungo della possibilità di introdurre degli stipendi differenziati, una discussione che non ha trovato tutti d’accordo a partire dalla politica fino al mondo scolastico.
E così, ai microfoni di Sky Tg24, il ministro afferma di essere intenzionato a fare un passo indietro e di ritornare alle “zone salariali” all’interno delle quali erano previste dei compensi più alti nei luoghi in cui il costo della vita risultava essere più oneroso.
E questo è un sistema che andò in vigore dal 1946 al 1972 per essere poi archiviato perché considerato ingiusto in quanto andava ad aumentare ancora di più la differenza tra nord e sud.
Infatti, sembra sempre secondo le parole del ministro, nel 1954 un operaio in Lombardia portava a casa uno stipendio di 30.000 lire mentre, un uomo che faceva lo stesso lavoro ma che viveva in Sicilia, otteneva un compenso di 22.000 lire.
Insomma è questo un argomento che il ministro Valditara tira in ballo anche se, in diverse occasioni, si è cercato di rimettere l’attenzione su questa questione.
Nell’ultimo periodo si è parlato di un’ipotesi di reintrodurlo per i dipendenti pubblici proprio per i diversi costi di vita nelle varie aree del nostro Paese. Delle differenze che sono già attuate all’interno del settore privato.
Il ministro continua affermando che attualmente i contratti nazionali non sono in grado di stabilire gli stessi minimi termini in tutte le zone d’Italia, a differenza degli accordi aziendali di secondo livello che sono in grado di portare delle retribuzioni molto più alte se messa a confronto con lo stesso mestiere.
Per quanto riguarda le paghe, ancora oggi sono enormi i divari tra nord e sud, proprio come spiega una banca d’Italia.
Infatti, in base ai dati riportati da questo istituto, diversi sono i fattori che provocano questo dislivello a partire dalla disoccupazione e dal tipo di lavoro che si porta avanti nel mezzogiorno.
Riprendendo il discorso iniziato dal ministro Valditara, Banca d’Italia ha voluto rendere pubblici alcuni dati in base ai quali è possibile notare una grandissima differenza di salario tra nord e sud.
All’interno del settore privato, c’è un divario del 28% tra il lavoro tra Nord e Sud, invece, se si mette da parte il lavoro in nero, la percentuale scende al 17%.
Nel caso in cui si prende in considerazione soltanto il reddito a parità di impiego, il guadagno è più alto al Nord del 9% rispetto al mezzogiorno.
Ciò che fa la differenza, oltre al reddito, sempre prendendo sotto esami i dati condivisi dall’ISTAT, nel 2021 la spesa medio a famiglie risulta essere diversa in base alle zone d’Italia in cui essi vivono.
Infatti, al nord-ovest la spesa media si aggira intorno ai 2.699 euro mentre a nord-est è di 2.636 euro.
Cosa ben diversa è quella che si verifica al centro e al sud, luoghi in cui la spesa è rispettivamente 2.588 euro e 2.011 euro.
È vero che al sud il costo della vita risulta essere più basso anche se è questo il luogo in cui sono assenti numerosi servizi.
Infatti, diverse sono le problematiche legate all’assenza di un numero elevato di strutture sanitarie a differenza del Nord in cui si trova un ospedale in moltissime città.
Inoltre, gli stipendi pubblici vengono parametrati tenendo presente il costo della vita.
Infatti, in base ai dati dell’istat, una coppia che ha un figlio piccolo risulta essere in condizioni di povertà nel momento in cui al nord percepissero 1.213 euro mentre al sud ne percepisce 954 euro.
Un ragionamento simile viene applicato anche per un pensionato. In questo caso a Reggio Emilia la soglia di povertà vede un limite di 778 euro mentre a Reggio Calabria il limite diminuisce a 568 euro.
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