Il dibattito sulla prostituzione in Italia e sulla possibilità di renderla di nuovo legale non è mai scemato. Ancora oggi è la legge Merlin a regolamentare l’aspetto legislativo della materia nel nostro paese, con tutti i pro e i contro del caso. In mancanza di una legislazione organica sulla materia, spesso sono i sindaci a intervenire con l’obiettivo di togliere le prostitute dalla strada e rendere periferie e quartieri più sicuri. In linea di massima si tenta di regolamentare l’accesso alle strade più trafficate, colpendo i clienti con una serie di ordinanze e multe che regolarmente vengono cancellate dalla Consulta. Al centro del dibattito c’è sempre l’aspetto legale della prostituzione e l’abolizione della legge Merlin con la possibilità di aprire i cosiddetti “quartieri a luci rosse”. La proposta è trasversale di tutto l’arco politico: si va dall’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, del PD, che provò a suo tempo a frenare la prostituzione di strada con una lettera ai presidenti di Camera e Senato, fino alla Lega Nord di Matteo Salvini che punta al referendum abrogativo sulla legge Merlin.
La lettera a firma di Marino rappresenta ancora oggi la voce dei sindaci italiani, costretti ad affrontare il problema della prostituzione di strada in un’ottica di sicurezza per la cittadinanza. “Più volte mi sono trovato davanti a genitori o nonni che mi hanno posto questa domanda: ‘Cosa debbo dire alla mia bambina o al mio bambino davanti a questo spettacolo?’ Credo che chi governa una città, così come chi è chiamato a scrivere le leggi, debba tenere conto di una simile richiesta”, scriveva l’ex primo cittadino che ricordava come ci siano diversi disegni di legge sul tema.
Uno è il disegno di legge firmato dalla senatrice del PD Maria Spilabotte e da Alessandra Mussolini di Forza Italia, presentato nel 2014 con l’obiettivo è regolarizzare la prostituzione. La proposta di legge comprende un patentino professionale, l’apertura di una partita IVA per pagare le tasse, l’opportunità di prostituirsi in appartamenti in base a un permesso del Comune e dei controlli psicofisici da effettuare. Al momento il ddl è fermo: sulla materia ci sono profonde divisioni all’interno dei singoli partiti.
Le leggi sulla prostituzione
La prostituzione è un fenomeno globale, presente in tutti i paesi del mondo, con casi diversi tra loro, tra chi la ritiene legale, chi del tutto illegale e chi ha scelto una via di mezzo. Le leggi cambiano da paese a paese, ma nella dottrina giuridica si è soliti individuare tre modelli di riferimento sulla prostituzione a cui le nazioni, in misura più o meno simile, si adeguano. Ci sono Stati che l’hanno regolarizzata in toto, controllando l’esercizio e facendo pagare le tasse alle donne e agli uomini che la praticano; altri invece l’hanno vietata in ogni aspetto, arrivando nei casi più estremi alla pena di morte.
I modelli di riferimento sono tre: il modello proibizionista, il modello abolizionista e il modello regolamentarista.
Secondo il modello proibizionista, la prostituzione è illegale, vietata dalla legge e perseguita a livello penale. In genere, è vietato sia praticare che acquistare prestazioni sessuali a pagamento, colpendo sia chi la pratica sia i clienti. È il modello più diffuso nel mondo, con casi limite come nei paesi islamici che praticano, o hanno praticato, la sharia: qui la prostituzione è punita con pene detentive, arrivando anche a pene corporali.
Dal modello proibizionista è nato anche un sotto-modello, definito neo-proibizionista o modello svedese, da paese che l’ha applicato per primo, seguito da Norvegia e Islanda. Sono vietate tutte le attività di contorno alla prostituzione e l’acquisto della prostituzione ma non l’offrire prestazioni sessuali a pagamento: vengono puniti cioè i clienti ma non le prostitute, nella concezione che comunque siano vittime della richiesta e non direttamente artefici.
Il modello abolizionista vede la prostituzione come un’attività non lecita e pertanto non equiparabile ad altre attività commerciali, ma non è punita a livello penale. In pratica non è illegale prostituirsi né acquistare prestazioni sessuali a pagamento, ma sono punite tutte le attività di norma legate alla prostituzione: sfruttamento, reclutamento e favoreggiamento. Di questo orientamento fa parte anche l’Italia che con la legge Merlin del 1958 ha recepito la Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione, adottata a New York il 21 marzo 1950.
Infine il modello regolamentarista che prevede la legalità della prostituzione, a totale esclusione di quella minorile e di quella esercitata sotto coercizione. Si regola la prostituzione, dal pagamento delle tasse, ai controlli sanitari, sia per garantire la dignità di chi la pratica sia per “decoro urbano”, cioè per liberare le strade delle città dalle schiere di donne e uomini che si prostituiscono.
La legge Merlin in Italia
La prostituzione in Italia è regolamentata dalla legge Merlin, Legge 20 febbraio 1958, n. 75, con cui viene recepita la Convenzione di New York, appellandosi al modello abolizionista. La legge porta il nome della deputata socialista che la propose e portò alla chiusura delle case chiuse con il divieto di praticare la prostituzione anche in case private. Il principio è quello della limitazione della prostituzione non con il divieto diretto ma tramite lo “sfruttamento di un’altra persona anche se consenziente”, tra cui anche il “mantenimento, direzione o amministrazione o contributo a finanziare una casa chiusa”.
Prostituzione legale: il caso della Germania
Nel dibattito politico ci si dimentica dei soggetti principali di quella che dovrebbe essere una legge sulla prostituzione, cioè le prostitute. Spesso si tende a pensare che regolamentare la professione sia la soluzione a tutti i livelli: lo Stato incassa i soldi delle tasse e toglie dalle strade il viavai di persone che vanno con le prostitute; la criminalità viene privata di un canale molto redditizio, che parte dalla tratta delle “schiave del sesso” e si chiude sulle strade delle nostre città con lo sfruttamento e l’induzione alla prostituzione; le donne (e gli uomini) che decidono di dedicarsi alla professione possono farlo con più sicurezza, gestendo in libertà il proprio corpo e i guadagni su di esso.
C’è però un enorme “ma”. Vogliamo credere che le prostitute siano tutte la “bocca di Rosa” cantata da Fabrizio De Andrè. In realtà la percentuale di chi fa questo mestiere per libera scelta è molto bassa anche nei paesi che l’hanno legalizzata: nella maggioranza dei casi si è costretti a prostituirsi. Il caso più eclatante è quello della Germania che ha reso legale la prostituzione nel 2002, seguendo l’esempio di altre nazioni del Nord Europa (una su tutti l’Olanda).
Servizi tv e inchieste giornalistiche hanno svelato il lato oscuro dell’industria del sesso tedesca. La formula dei bordelli ha creato una serie di “offerte” che va al di là della semplice prestazione: seguendo l’economia di scala, i proprietari hanno abbassato i prezzi, rendendo le case chiuse tedesche la meta preferita dei viaggiatori sessuali dall’Europa e anche dal Nord America. Tariffe agevolate, tour “all you can fuck“, offerte speciali come le “flat-rate“, biglietti a prezzi agevolati per prestazioni di ogni tipo e senza limiti di tempo: si studiano diversi modi per attirare la clientela, dando all’illegalità una patina legale.
La confederazione sindacale Ver.Di, l’unione dei sindacati del settore dei servizi (il secondo sindacato più grande della Germania, dietro solo ai metalmeccanici), monitora anche il settore della prostituzione. I dati raccolti nell’ultimo anno sono impressionanti: gli incassi dell’industria del sesso sono di 14,5 miliardi di euro, con 1 milioni di clienti al giorno nei circa 3.500 bordelli legali (500 nella sola Berlino) in cui lavorano 200mila donne. Di queste, i due terzi arrivano dai Paesi dell’Est. Le testimonianze delle “sex workers” che hanno lasciato il settore spesso descrivono situazioni totalmente illegali: case dormitori, sfruttamento, minacce, vessazioni di ogni tipo.
Con la prostituzione legale è oggi più difficile dimostrare di essere costrette a prostituirsi. Come ha scritto il Der Spiegel in un’inchiesta dedicata, per l’accusa di sfruttamento bisogna dimostrare che i “protettori” intascano più della metà dei guadagni delle donne: in questo modo le condanne per i reati contro le prostitute sono drasticamente scesi (151 del 2000, 32 nel 2014). Pensare che la sola legalizzazione della prostituzione sia la panacea a tutti i problemi sembra davvero non essere la strada da seguire.
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