Non sono ancora chiare le divisioni delle competenze tra Regioni e le ex province: con l’accorpamento in base alla soglia dei 500mila abitanti, il personale delle province potrebbe confluire nelle Regioni, portando, ricorda Maurizio Rossi, senatore eletto in Scelta Civica in Liguria, a un aumento del 15% dei costi. Resta inoltre da chiarire come quel personale dovrebbe essere impiegato nelle città metropolitane. Tutto si inserisce nel no della Corte dei Conti, sentita in audizione il 16 gennaio 2014 alla Commissione del Senato: secondo il rapporto, il ddl Delrio non porterebbe a un reale risparmio e potrebbe anche alzare i costi delle nove province e città metropolitane.
Ci sono poi alcuni dubbi di incostituzionalità arrivati da alcuni studiosi, tra cui il professor Pietro Ciarlo, membro dei 35 “saggi” scelti dal premier per le riforme costituzionali. “Siamo di fronte a un pasticcio incomprensibile: così si rischia di ridurre tutto a pura propaganda”, il giudizio di Ciarlo.
La nuova cartina politica dell’Italia
Il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto per il riordino delle Province. Il provvedimento stabilisce l’abolizione degli assessorati e vieta di accumulare emolumenti per le cariche presso gli organi comunali e provinciali. Inoltre il Consiglio dei Ministri ha stabilito che gli organi politici dovranno avere sede soltanto nelle città capoluogo. C’è anche una novità che riguarda gli accorpamenti. Dal 2014 infatti diventano operative a tutti gli effetti anche le città metropolitane, che hanno il compito di sostituire le province nelle più grandi zone urbane.
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Dall’1 gennaio 2013 sono abolite le giunte provinciali. I Presidenti, per gestire al meglio la fase di transizione, potranno delegare al massimo tre consiglieri. Il riordino delle Province non prevede l’istituzione di commissari nella fase di transizione.
I commissari entreranno in azione soltanto se non ci sarà un adempimento dell’obbligo nei termini previsti. La nuova geografia dell’Italia è basata su 51 Province. Le Province a statuto ordinario passano da 86 a 51, comprese anche le città metropolitane. Ci saranno 35 Province in meno.
Le province devono avere due requisiti fondamentali: un territorio di almeno 2.500 chilometri quadrati e una popolazione non inferiore a 350mila abitanti. Tutte le altre dovranno rispettare il decreto per l’accorpamento degli enti locali preparato dall’esecutivo. Le Conferenze permanenti regioni-autonomie locali e i Consigli delle autonomie locali (Cal) hanno predisposto un piano di riordino che hanno presentato alle rispettive regioni, che hanno poi inviato una proposta concreta e fattibile al Governo.
Agli inizi di ottobre del 2014 i Cal di quattro regioni avevano già votato sulle ipotesi di riordino: Liguria, Veneto, Emilia Romagna e Marche. Poi è toccato a quelli di Lombardia, Toscana, Campania, Umbria, Lazio, Piemonte e alle Conferenze delle Autonomie locali delle regioni, che non hanno istituito i Cal: Molise, Calabria, Puglia e Basilicata. In caso di inadempienze interviene come ultima possibilità il Governo.
Intanto il presidente dell’Upi, l’Unione delle province d’Italia, Giuseppe Castiglione aveva spiegato che era stato già avviato un percorso virtuoso di tagli sia rispetto al numero di assessori e consiglieri che agli emolumenti dei politici: gli assessori provinciali sono passati dai 1.700 circa del 2010 ai 773 di oggi, mentre, i consiglieri provinciali da circa 4.000 a 2.700. Ecco nel dettaglio la nuova cartina delle Province predisposta dal Corriere della Sera.
Emilia Romagna
In Emilia Romagna oltre a Bologna, città metropolitana, si salva solo Ferrara. Gli accorpamenti riguardano: Piacenza-Parma; Reggio Emilia-Modena; Ravenna-Forlì Cesena- Rimini.
Liguria
In Liguria oltre a Genova, città metropolitana, rimane La Spezia. Accorpate Savona e Imperia.
Marche
Per quanto riguarda le Marche si salvano Ancona e Pesaro-Urbino. Accorpate Macerata, Ascoli Piceno e Fermo.
Veneto
In Veneto oltre alla città metropolitana di Venezia si salvano Vicenza e Belluno. Poi due accorpamenti: Verona-Rovigo e Padova-Treviso.
Abruzzo
Il decreto prevede il dimezzamento delle attuali province (da 4 a 2) in Abruzzo: L’Aquila-Teramo e Pescara-Chieti.
Lazio
Nel Lazio oltre alla città metropolitana di Roma il decreto prevede due accorpamenti: Frosinone-Latina e Rieti-Viterbo.
Puglia
In Puglia la provincia di Barletta-Andria-Trani sarà accorpata a Foggia e quella di Brindisi a Taranto, mentre, Lecce resta autonoma, più la città metropolitana di Bari.
Basilicata
Il decreto prevede l’accorpamento delle due uniche province: Matera e Potenza.
Sardegna
In Sardegna l’ipotesi di riordino deve concludersi entro la fine di febbraio 2013 e secondo alcune indiscrezioni si dovrebbe ritornare alle quattro province storiche: Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano.
Calabria
In Calabria oltre alla città metropolitana di Reggio Calabria, si salva Cosenza e vengono accorpate Crotone, Catanzaro e Vibo Valentia.
Lombardia
Oltre alla città metropolitana di Milano si salvano Brescia, Sondrio, Bergamo e Pavia. Gli accorpamenti riguardano: Milano-Monza-Brianza, Mantova-Cremona-Lodi, Varese-Como-Lecco.
Campania
Fusione tra Avellino e Benevento in Campania. Salve tutte le altre: Salerno, Caserta e ovviamente la città metropolitana di Napoli.
Toscana
Il decreto per la Toscana prevede il salvataggio di Firenze e Arezzo. Poi gli accorpamenti: Firenze-Pistoia-Prato, Siena-Grosseto, Massa Carrara-Lucca-Pisa-Livorno.
Molise
In Molise vi è l’accorpamento delle due province: Campobasso e Isernia.
Umbria
Anche in Umbria vi è l’accorpamento di Terni a Perugia.
Friuli Venezia Giulia
Tutto invariato in Friuli Venezia Giulia anche se si sta pensando di delegare le funzioni amministrative delle quattro province attuali a Regione e comuni.
Piemonte
In Piemonte oltre alla città metropolitana di Torino si salva solo Cuneo. Poi tre accorpamenti: Alessandria-Asti, Novara-Verbano-Cusio-Ossola e Biella-Vercelli.
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