Mentre tutto il mondo continua ad assistere quotidianamente alle immagini della guerra in Ucraina, che pare non essere affatto vicina alla fine, nel mare magnum del leader e diplomatici che hanno deciso di parlare nel documentario Putin vs the West, che la BBC ha deciso di proporre per analizzare il comportamento di Putin e che pone al centro i suoi rapporti con l’Occidente, nel mare magnum di leader e diplomatici che hanno ammesso di aver provato a dissuadere il primo ministro russo dall’attaccare il Paese guidato da Zelensky è emersa una voce, quella di Boris Johnson. Ma attenzione: le sue parole non si sono limitate al racconto di quello che lui ha detto, perché sono incentrate più che altro sulla risposta che ha ottenuto.
Putin ha minacciato di morte Boris Johnson? Questo è quello che sta emergendo dalle dichiarazioni di quest’ultimo nel documentario della BBC, Putin vs The West. La realtà, però, è ben più complessa: per capire davvero cos’è successo, dobbiamo analizzare non solo la famosa telefonata – risalente a un anno fa circa – in cui i due hanno discusso, ma anche il contesto in cui si inserisce.
Putin vs the West, questo è il titolo che la BBC ha deciso di dare al documentario sul primo ministro russo. Una serie di immagini, scene, racconti ne tracciano il profilo, analizzano le sue interazioni con gli altri leader mondiali, cercano di scardinare una realtà raccontata dai media che nasconde ben più di quello che conosciamo.
Non a caso, il documentario è uscito a pochi giorni di distanza da The US and the Holocaust – che porta la firma di Ken Burns – che pone al centro del racconto Hitler, la sua storia ma, soprattutto, i confini che è riuscito a superare, creando davanti a sé lo spazio necessario per poter agire incontrastato. La storia, insomma, si ripete: è questo che la BBC sottilmente vuole farci capire. Cambiano le epoche, cambiano i millenni, cambia il mondo, ma alla fine tutto torna.
Il documentario – prodotto da Norma Percy – è diviso in tre “atti”, che ripercorrono una strada decennale che ha portato Putin al punto in cui è oggi. Per il regista, è come se in pratica in conflitto in Ucraina fosse la tappa finale di un viaggio iniziato circa dieci anni fa, il cui inizio fu scandito da Putin, Russia and the West, un serie del 2012 criticata all’epoca per aver trascurato, a detta di molti dissidenti russi, alcune verità scomode sul presidente. Oggi quelle polemiche sono state ormai surclassate dai fatti, che hanno portato a una sola conclusione: Putin vuole “scuotere le fondamenta della sicurezza europea”, probabilmente ha sempre voluto farlo, solo che il mondo Occidentale non lo ha mai capito davvero.
In ogni caso – insieme ai momenti critici della storia narrati, tra cui l’annessione della Crimea alla Russia nel 2014 – vi è una fitta schiera di personalità mondiali (tutti leader e diplomatici) con cui il premier avrebbe interagito (anzi, discusso) negli anni.
Mentre alcuni di loro rimpiangono di non aver letto bene il libro che Putin stava scrivendo – anzi, forse di non averlo interpretato al meglio, oppure di non essere stati capaci di farlo con attenzione – e ammettono di essersi oggi, con il senno di poi, pentiti di non aver atto nulla per bloccarlo – un esempio è dato dall’ex presidente lituano Dalia Grybauskaitė, che accusa le principali nazioni europee di aver preferito che “l’energia a buon mercato” prevalesse sulla decisione di mantenere le sanzioni al minimo dopo l’invasione della Crimea – ne compare uno, Boris Johnson, le cui parole sono inattese e del tutto diverse da quelle degli altri.
Più che semplici considerazioni, i suoi sono ricordi. In particolare, a essere sviscerato è un avvenimento, anzi una semplice chiamata in realtà, che risale a circa un paio di anni fa: ai due poli del telefono ci sarebbero stati lui e il leader del Cremlino, la Russia ancora non aveva invaso l’Ucraina (ma i segnali che lo avrebbe fatto erano già tanti) e tra i due ci sarebbe stata una conversazione non affatto “leggera”, che sarebbe iniziata con il tentativo dell’ex primo ministro britannico di scoraggiare Putin a fare quello che poi invece ha fatto e sarebbe terminata con una minaccia a metà tra lo scherzo e l’annunciata tragedia.
“Boris, non voglio farti del male ma, con un missile, ci vorrebbe solo un minuto”: così è finita l’ormai celebre conversazione tra Vladimir Putin e Boris Johnson. Ma com’era iniziata? Innanzitutto, dobbiamo specificare che tutto è avvenuto in una lunga telefonata, che risale a un periodo precedente alla visita di quest’ultimo a Kiev a inizio febbraio del 2022.
L’ex primo ministro britannico avrebbe cercato di scoraggiare il primo a invadere l’Ucraina (cosa che poi è accaduta, ma questa è un’altra tristissima storia) e avrebbe tentato di farlo puntando sui rischi di sanzioni e sull’isolamento internazionale nel caso di un’invasione e sul fatto che la nazione guidata da Zelensky non avrebbe aderito alla Nato nel breve periodo e che un’eventuale guerra sarebbe stata una “catastrofe totale”.
A quel punto, però, la “straordinaria telefonata” (così l’ha definita lo stesso Johnson), ha preso una strana piega, finendo con la succitata affermazione “Boris, non voglio farti del male ma, con un missile, ci vorrebbe solo un minuto”. Del resto, pare che l’interlocutore di Putin non abbia preso poi così tanto male le sue parole, tanto da affermare: “Dal tono molto rilassato che stava assumendo, dal tipo di aria di distacco che sembrava avere, che fosse un modo per giocare con i miei tentativi di convincerlo a negoziare”. Non si può dire che Boris Johnson sia una persona permalosa almeno.
Secondo la BBC, però, la realtà è ben diversa: considerati gli attacchi russi al Regno Unito (di cui l’ultimo, in ordine cronologico, a Salisbury nel 2018), la minaccia di Putin non sarebbe stata poi tanto infondata, tanto che pare che in realtà Johnson non fosse poi così tranquillo come voleva sembrare. Pare, infatti, che esattamente nove giorni dopo questa telefonata – l’11 febbraio esattamente – ci sia stato un incontro tra Ben Wallace e Sergei Shoigu, i ministri della Difesa dei due Paesi, che finì con il secondo che assicurava al primo che la Russia non avrebbe invaso l’Ucraina e con la consapevolezza del secondo che fosse totalmente una bugia.
Insomma, a prescindere da tutto, quello che è certo è che quella famosa chiamata alla fine non sarebbe stata poi priva di contenuti infondati, anzi.
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