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Mondo

Putin ha rifiutato le condizioni di Biden per iniziare le trattative di pace

C’è chi grida allo stop per le armi inviate all’Ucraina dai Paesi europei e dagli aiuti, c’è chi è per rifornire Volodymyr Zelensky sempre e comunque, c’è invece chi grida alla pace con tutte le necessità e i passaggi diplomatici del caso. E probabilmente, anzi sicuramente, è il pensiero più giusto e condivisibile. Il problema è che non è assolutamente semplice e i segnali in tal senso ancora non stanno arrivando, per nulla. Gli Stati Uniti hanno comunicato delle condizioni per iniziare i negoziati di pace con la Russia. Condizioni che sono state, quasi immediatamente, rifiutate dal Cremlino.

Vladimir Putin – Nanopress.it

Le ultime ore sarebbero potute essere quelle della pace tra Russia e Ucraina, ma anche con i paesi Nato e un gran pezzo del mondo. E invece non sarà così. O almeno, neanche inizieranno i tentativi per intavolare un tavolo indirizzato a trovare una soluzione. Le condizioni date da Joe Biden non hanno fatto breccia nel buon senso della Russia ed è arrivato un secco rifiuto all’avvio dei negoziati di pace.

La Russia dice no all’inizio dei negoziati di pace con gli Stati Uniti

Biden ci ha provato ma, alla fine, si è ritrovato con un in mano. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato ufficialmente, citato dalla nota agenzia “Ria Novosti”, che per la Russia è impossibile iniziare a trattare la pace della guerra in Ucraina con gli Stati Uniti. A far saltare il banco è stato l’obbligo delle truppe russe di lasciare il Paese di Zelensky, imposta da fare. L’inizio del processo di uscita dal conflitto, dunque, si allontana sempre di più all’orizzonte, nonostante i tentativi di mediazione arrivati da più parti negli ultimi mesi, soprattutto dalla Turchia e dal Vaticano.

Tutto vano, perché evidentemente la Russia non ha ancora voglia di fermarsi. Dà comunque priorità alla campagna in Ucraina, a riportare la vittoria finale, ad alimentare una sete di potere e una smania di rinforzare i confini che diventa prevaricare la libertà e l’indipendenza di altri Stati. Non ha voglia neanche di sedersi a contrattare, perché, nonostante le sanzioni, la perdita ingente di uomini, i sacrifici al gelo a cui sarà costretta, non lavora per la pace, ma una vera e propria resa dei nemici. Non è corretto, ma in un certo senso – e purtroppo – ce l’aspettavamo. Nonostante le apertura di sorta che c’erano state.

Ne aveva parlato Biden nelle scorse ore, lasciando una nuova speranza al mondo intero, ma anche un monito. Il presidente degli Stati Uniti aveva lasciato intendere: “Parlo con Putin se dimostra di volere la pace”. Il numero uno degli Usa ha specificato che comunque un primo tavolo di pace ci sarebbe stato solo dopo un attento confronto con le principali forze della Nato. E, invece, non ci si arriva proprio a quel punto, neanche questa volta, perché a staccare la spina, prima ancora di collegarla del tutto, è stato il Cremlino.

Dal punto di vista umano si rischia un autentico disastro, e i limiti per non definirlo tale sono già stati superati da un pezzo. I crimini di guerra sono talmente tanti che si ha intenzione di istituire, quando tutto sarà finito, un processo stile Norimberga per rendere conto alla Russia di quello che ha fatto. Di quanto abbia alzato il tiro con una guerra scellerata e gestita male sotto tutti i punti di vista.

Un conflitto che ormai da mesi sta monopolizzando l’attenzione internazionale, perché l’Ucraina non è rimasta sola, come non doveva restare sola. C’è la Nato, ci sono i Paesi del patto atlantico, ci sono gli aiuti. E c’è la resistenza di un popolo che si sta dimostrando sempre più orgoglioso, tenace e desideroso di libertà. Non scambiamole per parole banali. Nonostante tutte le conseguenze, da una parte e dell’altra, si andrà avanti. E lo si farà per impegno politico, geopolitico, umano e per giustizia anche. Non è neanche in questo caso una posizione banale, anche è scomoda.

Sì, perché in Italia, ma anche negli Stati Uniti, sono sempre di più le voci che iniziano a urlare dissenso ai rifornimenti per l’Ucraina. La libertà di opinione è una risorsa e non un limite, soprattutto nei dibattiti politici, però è evidente che porre in primo piano gli aiuti a un paese illegittimamente occupato da uno confinante come se fosse il male unico di un paese, sia semplicemente uno specchietto per le allodole per centrare le voci che stanno girando dalla popolazione. L’assenso a un certo tipo di consenso. Eppure, è un partito che sta crescendo e che, senza girarci troppo intorno, in mezzo a molte posizioni atlantiste, per prima quella del governo Meloni, trova espressione attualmente nella visione di Giuseppe Conte e del MoVimento 5 stelle.

Antonio Tajani -Nanopress.it

Una proposta che, nonostante gli alti toni palesati, non è comunque convincente dal punto di vista di chi rappresenta la maggioranza del governo e deve andare a rapportarsi in Europa. Questo, però, non può e non deve essere scambiato per una mancanza di volontà nel trovare la pace. Piuttosto, attualmente, resta un’impossibilità. Ne ha parlato il ministro degli Affari Esteri e vicepremier Antonio Tajani, in un’intervista rilasciata a “Repubblica”: “L’Italia è molto interessata e sosterrà ogni iniziativa politica e diplomatica che possa portare a una pace giusta per l’Ucraina. Tutta l’alleanza atlantica, tutti i paesi che vogliono la pace saranno pronti a parlare con Putin se, davvero e con concretezza, dimostrerà che questo è il suo interesse genuino. Ripeto, è giunto il momento di iniziare a lavorare per una pace giusta per l’Ucraina.

Le speranze, però, già nelle scorse ore erano incompatibili con quelle che sono le effettive priorità di Putin. La posizione atlantica non è comunque in discussione: “La Russia continua ad attaccare civili e infrastrutture, vuole usare l’inverno contro la popolazione rendendo impossibile qualsiasi tipo di dialogo. Tutti vogliamo la pace, ma deve passare per l’indipendenza di Kiev, non attraverso la sua resa. La responsabilità di questa situazione è solo russa. Ora il Cremlino deve dare segnali concreti anziché bombardare la popolazione. L’Italia continuerà a seguire la linea di Nato e Ue perché l’unità è la nostra forza per consentire a Kiev di negoziare una pace giusta”.

Un aiuto all’Ucraina che si basa anche sulle reali necessità del popolo di Zelensky: “Forniamo del materiale per ripristinare le infrastrutture elettriche e abbiamo messo a disposizione la nostra protezione civile per l’emergenza freddo. Opererà in territorio ucraino? Aspettiamo le richieste di Kiev, ma se con il gelo aumenteranno i profughi siamo pronti ad aiutare, anche ospitando nuovi rifugiati“.

Ne ha parlato nelle ultime ore anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione dell’apertura dei Med Dialogues 2022 a Roma. Le sue dichiarazioni, riportate sempre da “Repubblica”, sono indirizzate soprattutto sull’esigenza di pace che è comune a tutti gli europei: “Ancora una volta siamo di fronte al bivio. Cosa permette di guardare al progresso dell’umanità? La guerra o la pace? Dobbiamo partire da quei principi posti alla base della nostra convivenza civile e fondati nel quadro delle Nazioni Unite. Per consolidare il sistema multilaterale e renderlo più democratico, occorre fare riferimento all’uguaglianza fra gli Stati, rifuggendo da una polarizzazione a livello internazionale e da una esasperazione di diversità, certo esistenti, che un dialogo efficace può contribuire a ridurre”. 

Come sta andando la guerra tra Russia e Ucraina

Con una pace ancora una volta rifiutata, in molti si chiedono se la Russia possa davvero permetterselo. Per quanto ancora si possa andare avanti annullando totalmente il dato umanitario e i costi della guerra, sanzioni incluse. Ma anche per tutto ciò che sta succedendo nel Paese del Cremlino e con un dissenso che pian piano sta crescendo. Si pensi alle madri russe che sono andate a manifestare per la fine della guerra, per riportare i figli a casa e non sono state ascoltate.

Si pensi ancor prima alla mobilitazione parziale che ha portato molti cittadini a doversi – obbligatoriamente – arruolarsi alle truppe di Putin. Con, anche in quel caso, proteste massicce in Russia. Il problema sta diventando sempre di più, un caso sociale e un fastidio che ormai è difficile mettere a tacere. E poi ci sono anche i problemi effettivi, sul campo, che può avere il Cremlino. Da mesi si parla di esercito lacerato nei suoi vertici, di diverse frange che hanno denunciato tutte le atrocità compiute dai soldati nel conflitto. E ciò che ha provocato all’interno. Si parla ancora di uomini che saranno sacrificati al gelo ucraino semplicemente per non perdere la posizione conquistata sul territorio avversario. E si tratta di 100 mila uomini, vite e non cartacce.

Poi un aiuto ancora più importante ci è arrivato dal servizio di intelligence britannico che quasi quotidianamente aggiorna sulle strategie e sulle premesse che bisogna tenere sul campo di battaglia. Partiamo dal presupposto che a modo suo la Russia continua ad attaccare: nelle ultime ore, sono sette le regioni ucraine prese di mira, provocando disservizi enormi. In realtà, però, da tempo la Russia ha perso il ruolo di vincente a tutti i costi. Come sottolineano i britannici, infatti, gli uomini di Putin hanno una serie di problemi logistici, ma anche carenza di munizioni.

Questi sono tra i fattori principali che stanno limitando la possibilità del Cremlino di proseguire con forza la sua campagna in Ucraina. E anche per gli esiti della controffensiva di Zelensky. Alcune settimane fa, le truppe russe sono state costrette a ritirarsi dalla sponda occidentale del fiume Dnipro. Così facendo hanno lasciato campo al Paese invaso, che si è subito preoccupato di distruggere linee di comunicazione russe e punti strategici, di trasporto fondamentali. Contestualmente, i logisti russi hanno spostato anche zone essenziali per la guerra a sud e a est. Non sembra essere bastato, perché alcune linee ferroviarie restano impraticabili e anche i percorsi stradali cruciali potrebbero essere distrutti dagli ucraini.

Ennesimo attacco a Zaporizhzhia -Nanopress.it

Questa posizione di parziale svantaggio e di frustrazione nella guerra, sta portando Putin ad assalire le infrastrutture civili e i civili stessi, ma anche le strutture energetiche, con attacchi su larga scala e che sempre di più colpiscono proprio nel cuore della capitale Kiev. Ciò provoca, però, gravi disservizi al Paese invaso, che vanno dalla mancanza di elettricità, gas e riscaldamenti alla carenza d’acqua. Insomma, una strategia per svilire i principi ucraini e far percepire il gelo dell’inverno in maniera ancora più insopportabile. Fino alla resa. Ma non sta funzionando.

Parallelamente è sempre importante porre l’accento a ciò che sta succedendo alla centrale di Zaporizhzhia. Un nuovo attacco si è verificato anche nelle scorse ore. Nella notte, infatti, i russi hanno preso d’assalto un villaggio, come riportato da Ukrinform. Secondo quanto annunciato dal capo dell’amministrazione militare regionale Oleksandr Starukh su Telegram: L’obiettivo del nemico era la distruzione delle infrastrutture industriali ed energetiche. A seguito dell’attacco, l’edificio amministrativo, che ospitava tutti i servizi necessari ai residenti locali, è stato quasi completamente distrutto. Fortunatamente nessuno è rimasto ferito“.

Proprio su Zaporizhzhia, però, è arrivato anche uno spiraglio di luce nelle ultime ore. E si è manifestato attraverso le parole a “Repubblica” di Rafael Grossi, il capo dell’Aiea che da mesi ha chiesto, dopo una visita approfondito sul posto, la creazione di una zona sicura attorno alla centrale più grande d’Europa. Ora la situazione si sta finalmente muovendo, nonostante gli ultimi attacchi russi: “Sulla messa in sicurezza di Zaporizhzhia esiste una proposta concreta e sono stati fatti progressi importanti. Le due parti sono ora d’accordo su alcuni principi fondamentali. Il primo è quello della protezione: significa accettare che non si spara “sulla” centrale e “dalla” centrale. Il secondo è il riconoscimento che l’Aiea rappresenta l’unica via possibile: è stato il cuore del mio incontro con il presidente Putin a San Pietroburgo l’11 ottobre“.

E infine: Il ritiro degli armamenti dalla centrale è quello che, comprensibilmente dal loro punto di vista, chiedono gli ucraini. E farebbe comunque parte dell’accordo generale – dice Grossi -. La Russia non è contraria a un accordo e al principio della protezione dell’impianto. Il nostro scopo è evitare un incidente nucleare, non provocare una situazione militarmente favorevole all’uno o all’altro. Il mio impegno è di arrivare a una soluzione al più presto. Spero entro la fine dell’anno. So che il presidente Putin segue il processo e non escludo un nuovo incontro con lui a breve, così come con il presidente ucraino Zelensky”.

Mariacristina Ponti

Nata nel lontano 1992, nel giorno più bello per nascere, a Cagliari. Dopo la maturità scientifica, volo a Padova e poi a Roma per studiare lettere. Nella Capitale poi rimango anche per il master in giornalismo. Tra stage a profusione, sempre nelle redazioni sportive, anche se il vero amore è sempre stato la politica, ho ancora da ritirare un tesserino da professionista.

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