Qatargate: la presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, annuncia un piano di 14 punti per attuare una migliore vigilanza all’interno dell’istituzione.
Un piano in quattordici punti è stato presentato giovedì 12 gennaio ai presidenti dei nove gruppi politici, dopo lo scandalo di corruzione che ha macchiato l’istituzione dell’Europarlamento, definito Qatargate. Roberta Metsola, presidente dell’Europarlamento, afferma: “Sulle interferenze straniere avremmo dovuto vigilare di più“.
Il Parlamento europeo si è sempre vantato di essere un’istituzione aperta, almeno una delle più aperte dell’UE. A giudicare dai provvedimenti che Roberta Metsola ha presentato giovedì 12 gennaio ai presidenti dei nove gruppi politici, in futuro dovrebbe essere meno aperto di come lo è attualmente.
In un documento indirizzato agli stessi, la presidente del Parlamento europeo propone un piano in 14 punti in risposta al Qatargate, il cui obiettivo è “ridare fiducia ai cittadini europei che rappresentiamo” e che, “giustamente, chiedono responsabilità e integrità” mentre lo scandalo di corruzione a cui sarebbero associati Qatar e Marocco infetta l’istituzione.
Nel mirino di questo piano ex eurodeputati, rappresentanti di Paesi extra Ue, lobbisti e Ong. La presidente del Parlamento europeo ha fatto preparare una prima nota di poche pagine sul rafforzamento delle regole di integrità per gli eurodeputati dopo la cosiddetta tempesta del Qatargate.
I primi stralci sono stati presentati alla Conferenza dei Presidenti dei gruppi politici il 12 gennaio.
In primo luogo, Metsola chiede alla COP di nominare una task force la cui missione è stabilire rapidamente una tabella di marcia e un piano di attuazione.
Tale task force avrebbe un presidente e sarebbe composta dai membri del comitato etico (organo attualmente solo consultivo) e dotata di adeguate risorse amministrative.
Inoltre, come riferito nel corso della COP, “Ciò significa che in questa fase della riforma, viene meno il ruolo dell’ufficio del Parlamento“. E non a caso l’ufficio del “pe” riunisce i 14 vicepresidenti, tra i quali c’era, fino alla sua decadenza, la greca Eva Kaili, una delle protagoniste dello scandalo.
La nota fissa 14 obiettivi che vanno dalla regolamentazione dei conflitti di interesse al divieto di gruppi di amicizia con paesi terzi, al rafforzamento del controllo dei lobbisti (comprese le Ong), attraverso una maggiore trasparenza dei deputati.
Non solo: si indica anche la pubblicazione obbligatoria delle loro nomine presso terzi nel quadro delle risoluzioni parlamentari, migliore regolamentazione dell’ingresso nei recinti del Parlamento e formazione obbligatoria degli assistenti parlamentari sulle regole di buona condotta etica e finanziaria.
Le regole deontologiche sarebbero, inoltre, estese agli assistenti parlamentari. Ogni deputato dovrebbe nominare un assistente responsabile del rispetto delle regole.
Gli ex deputati – come Pier Antonio Panzeri, che sembra essere al centro della questione – non avrebbero più così libero accesso al Parlamento e non potrebbero più far entrare chi vogliono.
Qui emerge un punto fondamentale: ex parlamentari, come Panzeri, spesso diventano lobbisti ma a volte non si dichiarano tali, approfittando così del loro tesserino permanente.
Il punto 7 degli obiettivi mira a porre fine a tutto ciò: “Gli ex membri che entrano in Parlamento come rappresentanti di interessi, dopo il periodo di riflessione, devono essere iscritti nel registro per la trasparenza in conformità con le norme vigenti. Saranno tenuti a firmare il registro di ingresso appena creato“.
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