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Qual è il significato del nastro blu indossato dalle celeb agli Oscar 2023

Durante la cerimonia di premiazione degli Oscar moltissime celeb hanno indossato un nastro blu, appuntato sui loro abiti. Spoiler: non è un caso che questa iniziativa sia stata introdotta in una manifestazione così celebre, sulla quale sono puntati – come ogni anno – gli occhi di tutto il mondo: il suo significato è davvero importante.

Oscar – Nanopress.it

Gli Oscar sono il momento per antonomasia in cui gli occhi di tutto il mondo sono puntati verso un’unica direzione. Ogni anno attori, registi, addetti ai lavori vari attendono impazienti il momento in cui scopriranno chi ha vinto cosa, chi trionferà, chi riuscirà a primeggiare. Quest’anno, però, si è aggiunto un tassello in più: molte celeb, infatti, hanno scelto di indossare un nastro blu dal significato davvero profondo.

Gli Oscar 2023 sono stati una rivincita per molti attori

“And the Oscar go to…”: questa frase – brevissima, che dura giusto il tempo di una frazione di secondo e di uno sguardo attonito – anticipa il momento in cui la vita (ma soprattutto la carriera) di qualcuno cambia. Lo abbiamo visto ieri – anzi, stanotte ora italiana – nell’edizione 2023, quella (finalmente) post-pandemia, ma anche quella delle rivincite potremmo dire in un certo senso.

L’esempio lampante? Jamie Lee Curtis, che ha rivendicato la vittoria mancata di entrambi i suoi genitori. Sì, perché suo padre, Tony Curtis, nel ’59 fu nominato per The Defiant Ones (La prete di fango), mentre sua madre, Janet Leigh, solo un paio di anni dopo – nel 1961 precisamente – fu nominata per Psycho. Entrambi alla fine non vinsero, ma ci ha pensato la loro figlia, più di sessant’anni dopo, a rivendicare la loro candidatura non tramutata in Oscar. “Mia madre e mio padre sono stati entrambi nominati agli Oscar in diverse categorie“, ha affermato l’attrice, prima di ritirare il premio. Premio che potremmo definire al cubo: ha vinto lei per tutti e tre.

Ma andiamo avanti, perché possiamo riportare anche il caso di Michelle Yeoh, la prima donna asiatica a vincere un Oscar come migliore attrice (del film Everything Everywhere All at Once). Bè, certo, potremmo disquisire per ora sul perché solo nel 2023 sia successo questo, ma poi dovremmo parlare del connubio donna-asiatica nell’immaginario comune e dello strano caso per cui un essere umano di sesso femminile “non bianco” (non troviamo altri termini adatti per spiegare il concetto al momento) abbia vinto come attrice protagonista solo una volta prima (vedi Halle Berry con Monster’s Ball), ma forse è meglio soffermarsi solo sul discorso dell’attrice nel momento della consegna della statuetta. “Per tutti i bambini e le bambine che mi guardano stasera, questo è un faro di speranza e possibilità”: così inizia il suo discorso. Che continua poi menzionando nello specifico le donne, che mai devono lasciarsi scoraggiare né tantomeno dovrebbero lasciarsi dire da qualcuno che hanno superato i loro limiti. Come darle torto: se lo avesse fatto lei, probabilmente non sarebbe arrivata nel punto in cui è oggi, esattamente come tutte le sue colleghe vincitrici.

E possiamo chiudere parlando di Lady Gaga, che non ha vinto l’Oscar per la migliore canzone – a vincere sono stati poi Maragadha Mani e Chandrabose per Naatu Naatu, dalla colonna sonora del film RRR – perché già solo il fatto che abbia avuto il coraggio di presentarsi su un palco così importante con jeans strappato e t-shirt, senza trucco, portando solo sé stessa, la sua musica, la sua arte e che sia riuscita a emozionare tutti i presenti (e che presenti), tanto da guadagnarsi una standing ovation la rende una vincitrice in egual modo. Punto.

Oscar – Nanopress.it

In ogni caso, c’è un particolare che è saltato all’occhio dei più attenti: moltissime celeb hanno indossato dei nastri blu appuntati al collo. Ma perché?

Il significato del nastro blu

Gli occhi più attenti avranno notato che molte celeb hanno indossato dei nastri blu appuntati al collo con tanto di hashtag “#WithRefugees”. Già questo dice tutto, ammettiamolo, ma sicuramente questa iniziativa merita qualche parola in più. L’accessorio altro non è che un “simbolo di compassione e solidarietà” verso i rifugiati, persone che hanno dovuto lasciare le loro famiglie, le loro vite, le loro case, per sfuggire da guerre e persecuzioni. Adesso questo è un tema caldo più che mai, possiamo affermarlo a gran voce e quale manifestazione avrebbe potuto rappresentare questo pezzo di storia più degli Oscar, la cui risonanza è planetaria letteralmente?

Il nastro è nato in collaborazione con la Coalizione dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, tanto che sul suo sito web si legge chiaramente: “I membri dell’associazione mostrano modi pratici per sostenere i rifugiati, soprattutto per quanto riguarda l’istruzione, l’alloggio e l’occupazione. Con i suoi diversi membri, l’associazione contribuisce ad amplificare un messaggio globale di tolleranza e inclusione”.

C’è da dire – per onore di cronaca – che gli Osca non sono la prima manifestazione in cui questi accessori compaiono: già ai tempi dei BAFTA aveva fatto il loro grande ingresso, che aveva coinvolto moltissime attrici e attori di fama planetaria. Tra questi non possiamo non citare Angela Bassett, Collin Farrell, Sophie Turner e potremmo continuare all’infinito.

Circa un mese fa poi la succitata Jamie Lee Curtis aveva già commentato la sua decisione di appoggiare questa iniziativa, di farla sua e aveva anche ammesso chi era stato a convincerla a farlo. L’attrice aveva infatti affermato: “La mia amica Cate Blanchett sta chiedendo alle persone di ricordare a tutti noi che ci sono terribili crisi dei rifugiati in corso in tutto il mondo, ovunque e contemporaneamente, e che dobbiamo fare la nostra parte”.

In effetti l’impegno di quest’ultima e la sua propensione a combattere problematiche così importanti è palese: basti pensare che è ambasciatrice di buona volontà della Coalizione dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Insieme a lei ci sono la sua collega britannica Gugu Mbatha-Raw e la nuotatrice siriana Yusra Mardini e tutte loro hanno un solo scopo: far conoscere al mondo il dramma vissuto da chi deve dire addio alla sua vita non per una sua volontà, ma perché non ha altra scelta. Quest’ultima nello specifico si è detta davvero incredula davanti alla partecipazione di artisti così famosi. Ai tempi della coalizione aveva infatti scritto: “È davvero incredibile vedere così tanti artisti indossare un nastro blu stasera in solidarietà con i rifugiati e gli sfollati di tutto il mondo. La mia gente – e tante altre – sta soffrendo. Hanno bisogno del nostro sostegno. Abbiamo tutti bisogno di pace”.

E infatti quello che sta accadendo in tempi recentissimi parla chiaro. I rifugiati attuali sono tantissimi, molto più di quello che si pensa. A scappare sono attualmente molti ucraini: alcuni di loro si trovano in Italia e qui stanno lavorando, studiando, si stanno in qualche modo realizzando, lontano dal loro Paese, dal conflitto, dalle bombe. Ma proviamo a chiedere ai diretti interessati quanto vorrebbero tornare indietro e farlo letteralmente, per potersi ricongiungere con i loro cari, per poter riprendere in mano le redini delle loro esistenze e per poter scegliere liberamente cosa fare, dove andare, chi essere. Ma è anche quello che è accaduto dopo i terremoti in Turchia e Siria: alcuni territori sono decisamente troppo pericolosi per essere abitati e alle persone non è rimasta altra scelta che fuggire il più lontano possibile.

Sembra uno scenario a dir poco spaventoso, soprattutto alla luce del fatto che tutto è accaduto nell’ultimo anno: fino a 12 mesi fa (quasi 13 ormai) sembrava che problemi simili appartenessero solo al passato. Da febbraio del 2022 ci siamo resi conto, invece, che la storia non ci ha poi insegnato così tanto, almeno non ci ha mostrato adeguatamente come non ripetere gli stessi errori del passato (oppure dovremmo dire che è l’uomo che non è stato in grado di recepire il messaggio).

In ogni caso l’UNHCR ha parlato chiaro: oggi, nel mondo, ci sono più di 103 milioni di sfollati. Un numero altissimo, al limite dell’incredibile. Ecco perché è importante far conoscere questa piaga: il mondo deve sapere, non possiamo sempre girarci dall’altra parte, dobbiamo fermarci a guardare quello che accade. Solo così possiamo sperare in un mondo migliore, poggiato su basi solide di solidarietà, sensibilità, empatia.

Anna Gaia Cavallo

Mi chiamo Anna Gaia Cavallo, ho 30 anni, sono nata a Salerno e lì ho vissuto fino ai miei 18 anni. Poi il viaggio verso Siena per l'università, la laurea in economia e gestione d'impresa e poi il ritorno nella mia città natale. Qui, dopo un anno di lavoro nel settore economico, ho capito che non era questa la strada giusta per me e ho deciso di seguire quella che era sempre stata la mia più grande passione fin da piccola: la scrittura. A quel punto ho lasciato tutto quello che avevo costruito nei sei anni precedenti e ho intrapreso un altro percorso, quello che mi ha portato a diventare giornalista. Iscritta all'albo dei pubblicisti della Campania dal 2019, dopo aver attraversato diversi mondi, sono approdata sul pianeta Nanopress nel 2022 come editor e qui amo occuparmi di cronaca e attualità, ma quando mi capita di scrivere di musica raggiungo il massimo del piacere.

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