Il Milan, a meno di un anno dalla conquista del titolo di campione d’Italia, è sprofondato in una crisi di gioco e risultati a cui non ci aveva proprio abituato. I rossoneri sembrano svuotati delle motivazioni tecniche e mentali che hanno portato allo scudetto, ma in realtà ci sono dei passaggi ben precisi che mettono in luce ciò che sta vivendo il club rossonero. Molti singoli sono la controfigura di loro stessi, imbrigliati in un momento di negatività e ridimensionamento che non riescono a scrollarsi di dosso. Poi c’è la tattica in sé e per sé e quella viene di conseguenza: anche in quel caso, i ragazzi di Stefano Pioli hanno perso meritatamente il confronto diretto con le rivali per un posto in Champions League. Cerchiamo di capire i motivi di questo calo improvviso e come il Milan potrebbe uscirne.
Se si pensa al Milan di Pioli si pensa alla vittoria, ai carri dei vincitori, ai giovani esplosivi ed esplosi nella gestione dell’allenatore ex Inter e Lazio, nel patrimonio tecnico ed economico che ha portato il Diavolo a essere la migliore squadra della Serie A nella scorsa stagione. Quest’anno, però, i numeri dicono che i campioni d’Italia sono la versione sbiadita della rosa sbiadita e sfavillante dello scorso anno. I passi falsi ci sono stati anche prima della pausa per il Mondiale in Qatar, ma da gennaio in poi i rossoneri sono caduti in un loop di sconfitte e prestazioni deludenti che noi italiani, di solito, chiamiamo “crisi”. E stavolta ci sono tutti gli ingredienti per farlo. Ma non è detto che presto quest’escalation negativa non si possa trasformare in voglia di rivalsa e nel ritorno alla vittoria. Perché, è vero, il Napoli è scappato via, ma c’è un posto in Champions League da blindare e far proprio, prima che lo facciano gli altri.
L’immagine del momento del Milan è forgiata negli attimi che hanno preceduto il fischio d’inizio del match contro la Lazio. I rossoneri scelti dal primo minuto si sono riuniti in cerchio l’uno tra le braccia dell’altro, come una squadra vera che vuole uscire dalle difficoltà, e probabilmente caricandosi con frasi motivazionali, puntando sull’orgoglio personale e di gruppo, trovando semplicemente la concentrazione giusta per andare oltre l’ostacolo e centrare l’obiettivo in uno scontro diretto decisivo per la corsa alla prossima Champions League.
E, invece, i campioni d’Italia continuano a essere smarriti, irriconoscibili rispetto alla versione splendente di maggio scorso e, più in generale, della scorsa stagione. Contro i biancocelesti si è verificato ciò che era successo già nella Supercoppa italiana contro l’Inter e in Puglia contro il Lecce. Il Milan ha sbagliato totalmente l’approccio alla partita, è parso in balia degli attacchi e del gioco avversario. Sempre lontano dal pallone e in ritardo sulle seconde palle che nel calcio moderno è praticamente una consegna a morte (sportiva).
Non si vogliono togliere dei meriti alla squadra di Maurizio Sarri, praticamente perfetta nell’arco dei novanta minuti, ma i biancocelesti sono riusciti a dominare il possesso palla e la partita con una continuità impressionante, dato che comunque l’avversario di fronte non era sulla carta tra i più agevoli. Sulle fasce i duelli sono stati vinti praticamente in toto da Adam Marusic e Elseid Hysaj, mentre più avanti Mattia Zaccagni e Pedro Rodriguez si sono sentiti liberi di seminare il panico nella metà campo offensiva. Soprattutto il primo che ha ispirato tre gol su quattro.
E se si passa ad analizzare le zone centrali del campo, le cose non si mettono meglio per i campioni d’Italia. Sergej Milinkovic-Savic è tornato a splendere ed è spesso risultato immarcabile in zona offensiva, tanto da sbloccare subito il match con l’1-0. Luis Alberto poi ha (francamente) fatto ciò che ha voluto fino al rigore che ha messo la ciliegina sulla torta di una prestazione splendida.
È troppo per pensare che sia solo merito di una Lazio totalmente assuefatta al Sarrismo e che ormai ne è imbevuta dalle suoi radici ai suoi fiori migliori. Anche perché qualcosa di simile era successo anche contro l’Inter in Supercoppa italiana. Anche lì, la sconfitta era stata molto pesante, un 3-0 con veramente poche attenuanti dal punta di vista del gioco e del risultato, tanto che l’ex Hakan Calhanoglu si è permesso di dire “un 3-0 veloce e a casa”. Una mazzata che avrebbe dovuto garantire una scossa immediata al Milan e che tutto l’ambiente attendeva. Molti in settimana hanno evidenziato come Pioli trattasse questo tipo di momenti: la festa dell’Inter e gli sfottò dei rivali appesi negli spogliatoi a scatenare la rabbia agonistica, la volontà di rimettersi subito in sesto per dimostrare che un altro obiettivo stagionale no, non poteva sfumare già a gennaio. E, invece, ora è praticamente così.
Ma da dove nasce questa crisi ormai endemica nel Milan versione 2022/23? Sicuramente non si può non pensare alla partita contro la Roma e puntare il dito lì, a quello che è successo negli ultimi quindici minuti del fatale match contro i capitolini. I ragazzi di José Mourinho sono riusciti a riprendere una partita dominata in lungo e in largo dai rossoneri in una decina di minuti per poi fissare sul 2-2 una partita che sembrava già vinta dai padroni di casa e che ha lasciato delle scorie. E poi c’è stato il Lecce, lì le cose sono finite per peggiorare drasticamente. I pugliesi sono entrati in campo con una grinta e delle motivazioni tattiche ben più precise di quelle rossonere. Hanno attaccato, hanno fatto male agli avversari e hanno terminato il primo tempo con un 2-0 totalmente inaspettato. Il Milan è tornato in campo trasformato e ha agguantato un altro 2-2, ma è comunque troppo poco rispetto agli obiettivi e alle attese che hanno i campioni d’Italia.
Ok il modo di dire è un po’ diverso, ma quattro indizi fanno una prova: è piena crisi. Una crisi che si sta sviluppando in un inverno gelido per una squadra che fino a poco tempo fa dominava in Serie A e provava a stupire in Europa con qualità del suo progetto tecnico, la crescita dei suoi giovani, le ragioni del suo allenatore e una grinta che ora sembra lontana sconosciuta ai più.
Nelle ultime quattro partite tra Serie A e Supercoppa italiana il Milan ha incassato undici gol. Un numero enorme rispetto a quelli comunemente concessi a chi vuole conquistare trofei e vincere il campionato. In un’analisi rispetto al momento del Diavolo, quindi, non si può non partire dalla difesa e da cosa può essere cambiato in pochi mesi in una squadra prima molto più solida e, diciamocelo, anche messa meglio in campo.
È inevitabile iniziare dalla porta e in questo caso da Ciprian Tatarusanu. Molti tifosi rossoneri criticano il portiere, ma in realtà non si è reso protagonisti di grossi strafalcioni da quando per forza di cose viene schierato titolare tra i pali. I numeri, però, dicono sempre la verità e l’ex Fiorentina ha una media parate decisamente bassa, insufficiente per chi deve difendere la porta del Milan. Il senso di sfiducia nei confronti dell’estremo difensore è in crescita, soprattutto rispetto a ciò che aveva caratterizzato il recente passato.
Si può dire senza troppi dubbi che Mike Maignan era altra cosa. Il francese è ai box da mesi a causa di un serio infortunio al polpaccio e annessa ricaduta, ma non deve essere facile per un gruppo così giovane perdere un leader e un riferimento del genere. Uno che con le sue parate era stato un riferimento e una sicurezza fondamentale nello scontro diretto e a distanza contro l’Inter, ma anche per risolvere le partite in momenti cruciali per poi rilanciare l’azione con una qualità moderna e rara, quella del rinvio lungo e preciso. Rafael Leao ci andava a nozze, ma anche uno come Olivier Giroud abile a ripulire palloni e lanciare l’azione offensiva. Per questo, anche nella giornata di oggi e subito dopo la disfatta contro la Lazio, molti hanno rimpianto l’assenza del francese che ha permesso ai tifosi di dimenticare immediatamente uno come Gianluigi Donnarumma.
Sì, ma i problemi del Milan non sono tutti riconducibili alla porta. Anche i difensori, infatti, sono sembrati molto più incerti come singoli e come reparto. Fikayo Tomori e Pierre Kalulu sono stati i baluardi dei recenti successi rossoneri: giovani, moderni e solidi, bravi a coprire nell’uno contro uno, ma bravi anche a proporre l’azione. Nelle ultime uscite, invece, hanno mostrato dei limiti sconosciuti in copertura e uomo contro uomo. Contro il Lecce a steccare è stato più Kalulu, mentre contro l’Inter Lautaro Martinez ha stravinto il duello con Tomori. E, infine, contro la Lazio la coppia non ha semplicemente funzionato. Neanche uno come Simon Kjaer è riuscito a metterci una pezza e neanche i terzini.
Theo Hernandez, infatti, sembra il cugino più scarso del giocatore ammirato finora in Italia. Le sue discese trascinanti, la sua qualità negli ultimi trenta metri, la sua malizia in fase difensiva e la grinta in copertura sono doti indubbie per l’ex Real Madrid. Ora, però, sembrano rimaste in Qatar. La forma migliore è lontana e non si può evitare di fare riferimento alla finale contro l’Argentina: dopo il percorso iridato, la forma del laterale è calata a picco, probabilmente anche la delusione sta giocando un fattore fondamentale.
Dall’altro lato, Davide Calabria sembra tornato alla versione incerta e zoppicante dei primi tempi. Zaccagni l’ha puntato con regolarità, lui non l’ha mai preso e ha spianato la strada alla Lazio. In Supercoppa, invece, è stato Federico Dimarco a far impazzire il difensore cresciuto nel settore giovanile rossonero.
A centrocampo una reazione c’è stata, ma troppo poco per risollevare le sorti della squadra. Ismael Bennacer ci mette cervello e qualità, come al solito, ma ha troppi avversari a cui far fronte e spesso ne esce perdente. Discorso simile per Sandro Tonali, l’ultimo a mollare per abnegazione e testa nella partita. Contro l’Inter, però, è caduto nella finta di Edin Dzeko e spesso finisce per crollare nel suo stesso nervosismo e nella frustrazione.
In attacco poi ci sono altre note dolenti e sono i big che hanno smesso di caricarsi la squadra sulle spalle. Giroud, come accennavamo, è tornato svuotato dal Mondiale. Prima Pioli basava su di lui il gioco offensivo e il francese aveva il compito di ripulire i palloni alti e poi concludere, cosa che gli riesce benissimo soprattutto nei match che contano. Da gennaio in poi, invece, parliamo di un calciatore esperto e in odore di contratto, ma che fa fatica a toccare molti palloni e arrivare alla sufficienza. Il Milan ci punta per il presente e per il futuro, anche perché il rinnovo di contratto è vicinissimo a essere siglato a dispetto degli interessi dagli Stati Uniti, ma l’ex Chelsea deve ritrovare se stesso.
Simile il discorso per Leao, ma con una piccola grande differenza: il rinnovo, in questo caso, non è ancora arrivato e ci sono diversi problemi da risolvere prima della fumata bianca. Il portoghese, invece, con le sue sgroppate, i suoi strappi e le sue corse incontenibili si è arreso prima a Darmian e poi a Marusic, tornando a denunciare una discontinuità che nella sua crescita sembrava aver nettamente limato. E poi le imprecisioni al tiro sono state troppe per non sottolinearle.
Infine, anche chi parte dalla panchina ha tanto da farsi perdonare. Charles De Ketelaere è ancora un oggetto misterioso difficile da decifrare dopo l’acquisto a suon di milioni e aspettative della scorsa estate. Finora il suo contributo è stato impalpabile. Ante Rebic non gira più, neanche a partita in corso, e Divock Origi sembra ben lontano dalla forma migliore e da quelle qualità che hanno portato il Milan a sceglierlo dopo l’addio al Liverpool.
Insomma, come può fare il Milan a rientrare in corsa per gli obiettivi stagionali disponibili? Sicuramente recuperando uomini essenziali e al top della forma. Ci riferiamo anche a Zlatan Ibrahimovic che magari non sarà più quello di un tempo, ma è un riferimento ancora essenziale, soprattutto per la mentalità che è in grado di trasferire alla squadra.
Probabilmente al gruppo Milan serve semplicemente una scossa e ritrovare solidità e certezze tattiche. Quando questo succederà, si rivedranno i veri campioni d’Italia e non è detto che non succederà in tempo. Soprattutto se il vero obiettivo sono i quarti di finale di Champions League.
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