Ci sono degli appuntamenti che si ripropongono immancabilmente, di cui – a dire il vero – faremmo ben volentieri a meno. Ad esempio il grande freddo con le nevicate che paralizzano le città, il concorso di Miss Italia o il Festival di Sanremo e, restando nell’ambito dello spettacolo, l’approvazione della legge finanziaria e di bilancio per le spese dello Stato. Così ogni anno Il Sole 24 Ore pubblica la sua classifica delle città italiane per qualità della vita. Una classifica stilata in base a 36 parametri raggruppati in sei macro-aree ritenuti dal quotidiano economico i principali indicatori di come si viva in una città: il tenore di vita, gli affari e il lavoro, i servizi ambiente e la salute, la popolazione, l’ordine pubblico e il tempo libero.
Ora è inutile stare a interrogarsi se questi, e solo questi, siano realmente gli unici modi per valutare se sia preferibile vivere in una città piuttosto che in un’altra o sul’ovvietà che Oristano, indubbiamente un’incantevole località nella Sardegna centro-occidentale, con i suoi soli 32.015 abitanti (il solo quartiere Vomero di Napoli ne conta 47.947) sia risultata prima per l’ordine pubblico (“e ci mancherebbe”, viene da commentare).
Quanto forse è più utile chiedersi che senso abbia stilare ancora queste classifiche: una volta che abbiamo scoperto che – sempre secondo il Sole 24 ore (è giusto ricordare che questa non è una classifica assoluta) – sia più vivibile Trento di Bologna che cosa abbiamo guadagnato? Il Sole 24 ore non indaga, infatti, le cause che portano ancora una volta a questo dislivello e soprattutto non propone alcuna soluzione affinché un giorno si possa quantomeno sperare che le città italiane siano tutte le più vivibili del mondo, così come ciascuno di noi cittadini dovrebbe poter almeno desiderare.
Al contrario questa classifica scatena una guerra fra poveri! Se, infatti, le città classificate nei primi dieci posti si accontentano di ciò che hanno, quelle negli ultimi avviano una gara fra loro per cercare di non essere le ultime. Basta, infatti, aprire qualche social network per leggere commenti di Palermitani che finisco con il gloriarsi per non essere gli ultimi, ma addirittura i penultimi o tarantini festeggiare per aver conquistato perfino il terzultimo posto. Giuseppe Pipitone, giornalista palermitano che ho anche avuto il piacere di conoscere, arriva a scrive su Il Fatto Quotidiano un simpatico articolo (vi consiglio di leggerlo) che termina con “Palermo è penultima nella classifica della qualità della vita. Penultima. Quindi ci poteva andare peggio”.
E vi assicuro che non ce l’ho con costoro, anzi sarei il primo ad offrire un caffè (rigorosamente alla napoletana) se Napoli mai riuscisse a scalare le ultime posizioni o che l’anno scorso commentò “mal comune mezzo gaudio” quando il capoluogo partenopeo arrivo ad un quasi ex aequo con Taranto! Piuttosto me la prendo con chi, senza un apparente scopo né di denuncia né di proporre soluzioni (non dovrebbe essere questo lo scopo di giornali e giornalisti?), stila classifica che finiscono con il mettere gli uni contro gli altri, forse con il reale intento di non permettere a tutte la città di giù, nella classifica come nella geografia, di fare eco tutte insieme a Erri De Luca quando rispondeva: “Ma faciteme ‘o piacere”.
P.S.
E chissà che poi non ha ragione chi, classifiche a prescindere, dice: “Quando un forestiero viene al Sud piange due volte: quando arriva e quando parte”.
Ah dimenticavo: complimenti a Trento che ha recuperato ben 2 posizioni rispetto all’anno scorso! Qui tutti parlano delle ultime classificate e nessuno delle prime.
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