L’11 novembre del 2007, esattamente 15 anni fa, nella stazione di servizio di Badia al Pino, un agente della polizia di strada, Luigi Spaccarotella, ha ucciso Gabriele Sandri, un tifoso della Lazio, un semplice tifoso di calcio come potrebbe essere chiunque di noi, che stava andando con i suoi amici a Milano per vedere la sua squadra in trasferta contro l’Inter.
Il suo omicida è stato condannato, anche in Cassazione, a nove anni e quattro mesi di reclusione. A differenza di quanto si è detto all’inizio, quando la notizia dell’uccisione di Sandri è cominciata a circolare, non era un ultrà, non era stato coinvolto in nessuna lite con dei tifosi della Juventus: dormiva in macchina, semplicemente. Ieri, l’attuale allenatore della Lazio, Maurizio Sarri, lo ha ricordato nel post partita vinta contro il Monza. Perché altre storie come la sua, come quella di Federico Aldrovandi, di Stefano Cucchi, di Carlo Giuliani non succedano più.
“Uscir di casa a vent’anni è quasi un obbligo, quasi un dovere, piacere d’incontri a grappoli, ideali identici, essere e avere, la grande folla chiama, canti e colori, grida e avanza, sfida il sole implacabile, quasi incredibile passo di danza“, scrive (e canta) in una delle sue più belle canzoni Francesco Guccini. È “Piazza Alimonda“, ed è dedicata alla morte di Carlo Giuliani.
C’è un brano dedicato anche a Gabriele Sandri, si chiama “È già domenica“, è degli Statuto, e racconta la storia molto simile di questi due giovani, entrambi romani, uno 23 anni, l’altro 26, che sono morti allo stesso modo: uccisi, da qualche apparato dello Stato, e da cittadini italiani.
Soprattutto non è morto Sandri da ultrà facinoroso, anche se, quando il proiettile della Beretta di Luigi Spaccarotella, un agente della polizia stradale, arriva dritto al suo collo, alle 9:18 dell’11 novembre del 2007, lui sta andando a Milano per vedere la sua Lazio, impegnata in trasferta contro l’Inter.
Anche se a Badia al Pino, in una stazione di servizio vicino ad Arezzo, scoppia una piccola rissa tra alcuni suoi amici laziali e altri tifosi della Juventus romani che, come i biancocelesti, stanno andando a vedersi una partita di calcio della loro squadra del cuore.
Non sarebbe morto da ultrà facinoroso neanche se ci fosse stato anche lui tra quei tifosi che avevano iniziato a litigare, perché lui, innanzitutto, non era un ultrà, era solo un ragazzo, a cui piaceva suonare e vedere la sua Lazio.
Non lo è, poi, a maggior ragione perché in quella stazione di servizio, lui sta dormendo in macchina perché stremato da una nottata in cui ha lavorato come dj. Non lo è perché la Renault Megane se ne sta andando da quel parcheggio quando parte il colpo di pistola, che si fa metri e metri, oltrepassa le carreggiate, per arrivare a uccidere Sandri.
E anche se lo fosse stato, un ultrà facinoroso, un delinquente che ha appena rapinato la stazione di servizio – in pratica la scusa che ha usato il suo omicida per giustificare il fatto di aver sparato ad altezza d’uomo – è forse giustificabile ammazzare una persona? No, rispondiamo noi, non lo è. E infatti Spaccarotella si prende i suoi nove anni e quattro mesi di reclusione per omicidio volontario, così come confermato in Cassazione.
Ed è giustificabile, ancora, il racconto che fatto a pochi minuti dalla sua morte sui media nazionali? No, rispondiamo noi, non lo è. Perché morire non è una questione di tifo organizzato o di tifo in generale, morire è morire, sempre, da innocenti e da colpevoli. Dalla parte giusta, dalla parte sbagliata. Da Filippo Raciti, poliziotto catanese ammazzato qualche mese prima durante un derby tra gli etnei e il Palermo, per cui la Figc decide di bloccare il campionato, a Gabriele Sandri, appunto, per cui al massimo rinviano la partita che lui non potrà mai più vedere. E iniziano anche le proteste, le rivolte.
E la Lazio non dimentica, anzi non può dimenticare. Ieri, in occasione del match contro il Monza, la Curva Nord – a lui intitolata – ha ricordato Sandri con cori e applausi, ma anche con uno striscione che era impossibile non notare. Infatti, pochi minuti prima del fischio d’inizio, la foto del ragazzo morto quindici anni fa è comparsa sui maxi schermi dell’Olimpico e la società ha lanciato in sottofondo la famosa canzone “Meravigliosa creatura” di Gianna Nannini. È proprio a quel punto che i tifosi hanno esposto uno striscione che ha emozionato tutti i presenti: “Rideremo ancora con il tuo stesso sorriso. Ciao Gabriele”.
Sono passati quindici anni, ma il ricordo non svanisce. Anche un allenatore attento e passionale come Maurizio Sarri non poteva lasciarsi sfuggire qualche parola per un evento di cronaca che è entrato nella storia di tutti i cuori biancocelesti: “È una cosa che ti tocca a priori. Poi è successo a 10 minuti da casa mia. Ogni volta che passo lì, mi giro e guardo il punto dove è successo. Una morte assurda, non riesco a trovare tante parole”.
Una morte assurda, sì, ha ragione Sarri. Una di quelle che è impossibile dimenticare e metabolizzare. E allora brava a Lazio a ricordarlo, anche se sono passati quindici anni, e bravi i tifosi. Perché la storia è la chiave di lettura che scardina i cancelli di un futuro giusto e da eventi come quello che ha visto un ragazzo di 26 anni perdere la vita, senza alcun motivo, si può solo imparare e schierarsi. Schierarsi dalla parte giusta, senza temere che sia quella sbagliata. E far sì che “cose assurde” come questa non capitino più in un mondo civile e democratico. Un mondo in cui Sandri dovrebbe essere ancora lì a sventolare bandiere, intonare cori, esultare, arrabbiarsi. E, invece, non c’è più ma sopravvive il ricordo di quel sorriso che, ieri e sempre, ha illuminato il maxi schermo dell’Olimpico.
E vive anche nel ricordo di Lorenzo De Silvestri, ora al Bologna, ma al tempo della morte del tifoso, alla Lazio e a cui lui, prima di partire per Milano, aveva mandato un messaggio. “Daje Lò, ho appena finito di suonare. Come al solito in partenza per condurvi fino alla vittoria. Sempre con voi“. Come lui, Sandri, sempre con noi. Anche a quindici anni da quell’omicidio brutto e tristissimo, per il calcio e per l’Italia.
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