Dopo l’arrivo dei talebani in Afghanistan di alcune donne si sono completamente perse le tracce. Una psicologa del posto, Mariam (nome di fantasia scelto per tutelare la sua incolumità), attualmente in esilio, sta facendo di tutto per cercarne nello specifico 15: una di queste soprattutto, che chiameremo Farzana per lo stesso motivo, ha solo 28 anni, ma ha già un passato fatto di violenza domestica, tossicodipendenza e ha tre figli a cui badare. Che fine hanno fatto tutte loro?
L’arrivo dei talebani in Afghanistan ha reso il Paese completamente arretrato, retrogrado, misogino. Le donne ormai contano poco più di niente, non possono studiare, lavorare, andare al parco, al ristorante, fare attività fisica. Di alcune di loro, nell’ultimo anno e mezzo, si sono perse le tracce: che fine hanno fatto?
La situazione delle donne afghane dopo l’arrivo dei talebani
Dov’è Farzana? Dove sono le altre 14 donne afghane sopravvissute alla violenza domestica prima che arrivassero i talebani nel Paese? Possibile che di loro si siano perse le tracce? Questo è quello che sta cercando di comprendere da più di un anno Mariam (nome di fantasia, come del resto lo è anche Farzana), una psicologa afgana.
Circa un anno e mezzo fa i talebani sono tornati al potere in Afghanistan. La loro politica – se così la possiamo definire – è chiara a tutti: ci limiteremo a dire che, secondo loro, alle donne non deve essere concesso né lavorare, né studiare, né andare al parco, al ristorante, fare attività fisica. Ma questa chiaramente è solo la punta di iceberg talmente profondo da non avere una fine ben definita.
(Anche) alla luce di ciò, dopo il loro ritorno, l’organizzazione per cui lavorava Mariam, che si occupava di difendere proprio loro, ha chiuso. Molti dipendenti sono scappati dal Paesi e tra questi anche lei, che attualmente vive in esilio, nascosta da tutto e tutti. Sia chiaro: nel suo piccolo, però, ancora oggi cerca di aiutare quanto e come può donne vulnerabili, giovani e persone affette da malattie mentali. Fornisce loro sostegno psicologico, lo stesso che vorrebbe continuare a fornire anche alle 15 donne scomparse. “Non ho idea di dove siano”: queste le sue uniche parole.
Tra loro vi è la succitata Farzana, una donna di soli 28 anni. Nonostante la sua giovane età, però, era da 12 anni che stava tentando di scappare dal marito violento. Era vittima di violenza domestica da tempo immemore, ma non solo, perché l’uomo l’aveva troppo spesso costretta a drogarsi e così lei era diventata una tossicodipendente. Certo, era “in via di guarigione dalle sostanze stupefacenti”, ma quel passato fatto di abusi, soprusi, ricatti era troppo pesante da sopportare. E così Farzana, nel 2019, aveva chiesto aiuto a Mariam.
In quel periodo stava per ottenere il divorzio, ma ormai aveva perso la custodia dei suoi tre figli. Per quello era troppo tardi e il senso di colpa per aver lasciato i bambini, delle anime innocenti, con lui era enorme. Ma quello per lei era l’unico modo per sfuggire agli abusi di quell’uomo e allora ben venga anche la fuga (lo affermò lei stessa in un’intervista al The Guardian rilasciata circa tre anni fa).
Attenzione: la sua storia è molto più complessa, terribile e assurda di quanto si possa immaginare. Riportiamo le sue stesse parole riferite al marito (ormai ex): “È un uomo orribile. Mi violentava e se cercavo di resistere mi picchiava. Poi ha iniziato a drogarmi in modo che non potessi reagire”. Qui arriva il “brutto” (anche se in tutta questa faccenda cosa non lo è?): neanche il divorzio alla fine è riuscito a placare l’ira funesta dell’uomo. Subito dopo, infatti, fece irruzione in casa sua, la violentò per l’ennesima volta e la colpì talmente forte e per così tante volte da farle perdere i sensi.
Tutto ebbe fine solo con l’arresto dell’uomo e la condanna per omicidio. Come ha affermato Mariam parlando di Farzana: “Finalmente è stata in grado di liberarsi di lui, riavere i suoi figli e ricostruire la sua vita. Si guadagnava da vivere insegnando il Corano ai bambini del vicinato e durante la nostra ultima sessione mi disse che non aveva più bisogno del mio sostegno”.
Sembra quello un lieto fine. Eppure non lo è: circa un anno e mezzo fa la provincia di Herat è caduta nelle mani dei talebani, che hanno rilasciato tutti i prigionieri delle carceri afgane. Tra questi ovviamente c’era anche l’ex marito della donna. Quello fu per lei l’inizio della fine.
Dove sono le 15 donne scomparse?
Dopo l’arrivo dei talebani e la liberazione dei prigionieri afgani, Farzana ricominciò a essere minacciata da suo marito. Così chiamò Mariam, intimandole che l’uomo “si era unito ai talebani e che l’avrebbe trovata e punita. Era terrorizzata e si nascondeva con i suoi figli”.
Quello però era un periodo di caos per tutti nel Paese. Dopo il crollo del governo afgano nulla fu più come prima, così anche la psicologa fu costretta a spegnere il telefono a causa delle minacce dei criminali liberati, molti riconducibili comunque ai talebani: alcuni la incolparono di aver protetto e sostenuto le vittime della loro violenza, portandoli all’incarcerazione. Quando però lo riaccese e provò a contattare tutti i pazienti che l’avevano chiamata in quel periodo, chiedendole aiuto, i loro telefoni erano spenti e non riuscirono a comunicare.
Nel frattempo è trascorso in tutto un anno e mezzo e di Farzana Mariam ha perso completamente le tracce. Ma non solo, perché di anche altre 14 donne, tutte più o meno in situazioni simili alla sua, non ha più notizie. A proposito di Farzana, comunque, ha affermato: “Non riesco a contattare lei o la sua famiglia. Ho sentito da conoscenti comuni che potrebbe essere scappata dal paese con i suoi figli, ma non ho modo di conoscere il suo destino”.
Nel frattempo la situazione peggiora sempre di più in Afghanistan: come abbiamo anticipato, le donne non posso lavorare, studiare, andare nei parchi, nei ristoranti, fare attività fisica. Molte sono costrette ai cosiddetti matrimoni precoci e questo accade anche a chi proviene da famiglie istruite oppure progressiste. A questo si aggiunge che le donne non hanno neanche diritto al sostegno legale, quindi non hanno alcun modo per difendersi.
Alla luce di ciò, Mariam, anche adesso che vive in esilio, sta tentando di espandere le sue operazioni di volontariato, reclutando colleghi e studenti universitari al fine di fornire supporto per la salute mentale agli afghani, principalmente donne, attraverso chiamate soprattutto (non avendo altri mezzi ora come ora). Questo poi apre ulteriori problemi, perché la connessione in tutto il Paese è molto limitata, quindi aiutare tutti è davvero difficile, eppure la donna e i suoi colleghi stanno facendo il possibile per aiutare tutti e non lasciare nessuno solo.
Il problema è questo: secondo un rapporto di Amnesty International, diverse organizzazioni che forniscono sostegno psicosociale e rifugi alle donne afghane sopravvissute alla violenza di genere sono state costrette dai talebani a chiudere. Quella di Mariam, quindi, non è affatto l’unica.
Come ha affermato Kevin Schumacher, vicedirettore esecutivo di Women For Afghan Women (WAW), un’organizzazione no-profit americana che fornisce consulenza familiare e supporto alle donne che sfuggono alla violenza di genere: “Una volta che la comunità internazionale ha lasciato, la maggior parte del lavoro che si stava facendo è crollato e ciò che restava, come il nostro, è stato chiuso dai talebani, che non hanno compreso le dinamiche della violenza di genere in Afghanistan e il significato di questi sforzi per combatterla”. A questo proposito, basti pensare che dopo il loro ritorno nel Paese, i talebani hanno costretto WAW a chiudere 16 rifugi e 12 centri di orientamento familiare, hanno sequestrato le loro proprietà e costretto quasi 1.000 donne a tornare dalle loro famiglie o dai loro partner violenti.
A poco sono serviti i tentativi di “negoziazione” – e già definirla così, trattandosi di vite umane, fa venire i brividi – dell’associazione (alcuni rappresentanti hanno incontrato i leader talebani e hanno cercato di spiegare loro il significato delle loro azioni): nulla è cambiato. Nessuno ha ascoltato i loro appelli accorati, nessuno ha cambiato rotta, nessuno ha fatto anche solo mezzo passo indietro.
Come riporta The Guardian, poi, Schumacher ha chiaramente dichiarato: “L’Islam, infatti, conferisce e assicura molti diritti fondamentali alle donne, che non sono poi così diversi dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Ma quelli che non vedono le donne come esseri umani completi non sono contenti di vedere che le donne hanno diritti, anche religiosi”.
Insomma appare chiaro che la situazione in Afghanistan ormai è tragica, nel vero senso della parola. Avrà mai fine tutto questo?