Le radicolopatie sono in aumento nella popolazione degli ‘over 40′, sempre più colpita da sciatica, ernia del disco, infiammazioni e alterazioni di tipo artrosico. E’ circa il 7-8% della popolazione italiana che soffre di tali sensazioni di dolore che, in un caso su due, necessitano di un approccio riabilitativo e farmacologico. Come ci ha spiegato Cesare Faldini, direttore della Prima clinica ortopedica e traumatologica dell’Istituto Rizzoli di Bologna, il dolore neuropatico è un vero e proprio campanello d’allarme di un malfunzionamento del sistema nervoso centrale o periferico che “si verifica ogni qualvolta un nervo rimane intrappolato, e quindi va in contatto con una struttura che gli è vicina”.
Si parla di radicolopatia quando il nervo intrappolato si trova vicino alla colonna vertebrale, cioè alla sua origine, altrimenti si parla di neuropatie periferiche, come nel caso del tunnel carpale, dove il nervo mediano può rimanere intrappolato nel canale del carpo.
“Nel caso della radicolopatia – spiega Cesare Faldini – i nervi che fuoriescono dal midollo spinale si trovano vicini alla colonna vertebrale e, se la colonna vertebrale s’infiamma, vi è un aumento di volume che produce una stimolazione meccanica del nervo stesso. Qui ci sono due problematiche da analizzare contemporaneamente. La prima è il meccanismo che ha determinato la compressione sul nervo, e che quindi produce il dolore; l’altra è il nervo stesso, che proprio perché compresso, si ammala”.
Qual è il migliore trattamento da scegliere per contrastare il dolore da radicolopatia? Prima di tutto occorre capire la natura del dolore, che è dunque di fondamentale importanza per individuare la migliore strategia di trattamento: “La causa di un dolore neuropatico può essere infiammatoria, e quindi bisogna agire sull’infiammazione con i farmaci, oppure può essere più grave, come una compressione dovuta ad esempio a una sindrome da ernia del disco, oppure una stenosi del canale vertebrale, che progressivamente si restringe causando dolore. Nelle fasi iniziali – osserva l’ortopedico – si interviene sostanzialmente con farmaci e riabilitazione. I farmaci hanno lo scopo di ridurre l’infiammazione e ridurre la patologia dei nervi stessa; la riabilitazione, invece, ha lo scopo di migliorare le condizioni meccaniche della colonna”.
Il trattamento farmacologico, associato a quello riabilitativo, si rivela efficace nel trattamento delle raticolopatie più ‘semplici’: “Quando il nervo si ammala deve essere curato – ribadisce Faldini – e quindi bisogna agire con dei farmaci neurotrofici come ad esempio la L-acitilcarnitina, che agisce sul benessere del nervo. Contemporaneamente – aggiunge – bisogna curare il meccanismo che ha determinato la compressione, cioè l’infiammazione, con farmaci antinfiammatori e antidolorifici. Oltre a questo – ricorda – nella colonna vertebrale è necessario supportare la terapia con la riabilitazione”.
Ci sono però dei casi in cui i farmaci e la riabilitazione non bastano a curare le raticolopatie, e quindi non resta che l’intervento chirurgico: “Quando la riduzione di spazio è talmente grave da compromettere la funzionalità del nervo, si può intervenire chirurgicamente – spiega l’ortopedico – Nelle neuropatie periferiche, come la sindrome del tunnel carpale, l’intervento è mininvasivo di natura ambulatoriale. Nelle radicolopatie, che sono quelle tipiche dell’ernia del disco, cervicale e lombare, della stenosi, della scoliosi degenerativa, gli interventi sono a complessità progressivamente crescente”.
“La sicurezza dell’intervento, naturalmente, è legata al centro dove viene eseguito. Si tratta di interventi delicati che richiedono sostanzialmente un approccio multidisciplinare fra chirurgo ortopedico o neurochirurgo, anestesista, terapista del dolore e riabilitatore. Tutte figure che vengono coinvolte in questo tipo di approccio”, conclude l’esperto.
In collaborazione con AdnKronos
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