Ci sono storie, fatti, avvenimenti che devono indignare, che devono farci ricredere su quanto possa essere malvagia la natura umana. A prescindere, però, da dove accadono. Se, infatti, un ragazzino di quattordici o quindici anni viene immobilizzato da alcuni amici e sodomizzato con un oggetto, sia esso un compressore o un attrezzo sportivo, che gli perfora l’intestino da alcuni amici è una barbarie sia se avviene a Napoli, che se avviene a Torino.
Se è doveroso e necessario, quindi, indignarsi sui social network, parlarne sui giornali e in televisione, denunciare queste atrocità in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo affinché si possa far capire a tutti, ai più giovani soprattutto, che chi deride un ragazzo fino a violentarlo con un compressore non è un modello da seguire, non è un “figo” come direbbero gli adolescenti, ma è soltanto un grandissimo coglione che deve essere escluso e allontanato dalla razza umana; è necessario fare altrettanto anche se in una palestra di Torino un ragazzo subisce la stessa sorte con un attrezzo sportivo.
Il 7 ottobre, infatti, un ragazzo di appena quattordici anni, reo – secondo i suoi aguzzini – di essere un po’ troppo grassottello, è stato schernito, seviziato e infine stuprato con un compressore d’aria da quattro ventenni in un autolavaggio di Napoli. Subito si è giustamente scatenata l’indignazione dell’opinione pubblica, subito i giornali e le televisioni hanno opportunamente trattato la notizia con approfondimenti, speciali, interviste ai familiari della vittime e dei carnefici che indegnamente tentavano di giustificare l’accaduto. “Era uno scherzo”, si sono giustificati gli autori di quest’atrocità e forse proprio queste parole hanno ulteriormente preoccupato gli italiani per quale sia la concezione della vita e del rispetto dell’altro dei giovani.
Soltanto dieci giorni dopo, però, un fatto analogo avviene a Torino: un giovane di quindici anni, mentre stava eseguendo un esercizio per i muscoli delle gambe in palestra, viene gravemente ferito all’intestino retto da un attrezzo sportivo simile a un bastone che sarebbe stato posizionato lì da un suo amico, ancora una volta, per uno scherzo. Questa volta, però, nessuno ne parla. La notizia, la foto della vittima e i messaggio di doverosa indignazione verso gli aguzzini non rimbalzano sui social network come nel primo caso, le televisioni non reputano più necessarie e nemmeno opportune le dirette dall’ospedale, le interviste ai familiari, i giornali non creano speciali su quanto sia amorale la gioventù torinese, così come era stato fatto per quella napoletana.
D’altronde se Torino non è Gomorra, non può essere nemmeno Sodoma. Il rischio, però, è che i giovani torinesi si sentano così in qualche modo legittimati a fare certi tipi di scherzi, ritenendo la loro una zona franca dalla giusta e doverosa gogna mediatica che deve esserci di fronte a chi si macchia di queste atrocità. Allora siamo chiamati non a non indignarci, occuparci e preoccuparci se un fatto del genere avviene a Napoli, ma a farlo anche se avviene a Torino.
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