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Categories: Economia

Rapporto deficit PIL: cos’è e perché gli italiani vogliono sforarlo?

Nuovo governo, nuova politica economica, vecchi problemi. L’equazione italiana, purtroppo, non cambia nonostante l’avvicendarsi delle fazioni politiche alla guida del Paese. Così, mentre gli italiani chiedono decisioni coraggiose per rilanciare l’economia (come sforare in deroga il tetto del 3% nel rapporto tra deficit e PIL), l’attualità anticipa ogni decisione con le sue cifre inclementi. La crisi economica in Italia è ancora ben lontana dall’essere dietro le spalle: il debito pubblico nel secondo semestre 2013 ha raggiunto e sfondato quota 133,3% del prodotto interno lordo. Anche il deficit ha già superato per larga parte dello scorso anno il tetto del 3%, con ben pochi effetti positivi per le famiglie italiane.

Cerchiamo per prima cosa di distinguere i termini per evitare confusione. Cos’è il deficit? Qual è la differenza con il debito pubblico e perché il deficit viene messo in rapporto col PIL? Il debito pubblico (che in Italia ha superato quota 2mila miliardi di euro) indica il debito che lo Stato ha contratto nei confronti di diversi soggetti, nazionali o internazionali (dai cittadini che acquistano titolo di Stato alle banche che finanziano il debito stesso, passando per gli organismi sovranazionali che stanziano fondi per le manovre). Il rapporto tra debito pubblico e PIL è il parametro principale utilizzato per capire se e quanto uno Stato sarà in grado di risanare il proprio debito nei confronti dei vari soggetti attraverso una politica fiscale. Più si alza il rapporto meno fiducia il Paese ottiene, più alto è il rischio di default (come stava per succedere alla Grecia).

Il deficit pubblico, invece, è un indicatore più specifico e raffinato. Ci racconta la situazione di un Paese in cui, in un dato lasso di tempo, le uscite superano le entrate. Il disavanzo pubblico, quindi, è quella quota di spesa statale (costi della Pubblica Amministrazione, manovre fiscali) non coperta dalle entrate (tasse dirette e indirette, aumenti dell’imposizione fiscale). Il deficit viene messo a confronto con il PIL perché così si evitano nell’analisi gli effetti dell’inflazione ed è possibile mettere a confronto lo stato di salute di diversi Paesi. Lo scopo principale di questo rapporto è studiare l’entità del deficit paragonandola la capacità di produrre ricchezza del Paese stesso, ovvero la capacità di ripagare il debito che si accumula per effetto della presenza di deficit ricorrenti. Nei Paesi che fanno capo all’Unione Europea è in vigore quanto stabilito dagli accordi di Maastricht, con la sottoscrizione di un patto di stabilità che impone di contenere il deficit pubblico entro il tetto del 3% del PIL.

Sforare il tetto significa uscire dal patto di stabilità ed esporsi al rischio di una procedura di infrazione, cosa che l’Italia sa benissimo visto che negli ultimi anni l’UE ha tenuto sotto stretto controllo i nostri bilanci. Da poco siamo rientrati nei parametri ma c’è già chi chiede di sforare di nuovo il tetto, questa volta volutamente e in deroga. Lo scopo è rilanciare l’economia perché, nell’economia classica, l’aumento del deficit si trasforma in uno stimolo ai consumi e alla produttività. Aumentare il deficit significa per lo Stato accettare di spendere più di quanto si incamera, abbassando le tasse per cittadini e imprese ad esempio. Il vero problema, però, è che le entrate in Italia sono sempre finanziate attraverso la pressione fiscale e non, come dovrebbe essere, attraverso la lotta all’evasione o alla fuga dei capitali verso l’estero.

Matteo Renzi, nel suo primo discorso da premier, ha lasciato intendere che il 3% potrebbe essere superato in accordo con l’UE, e anche Bruxelles si è detta possibilista, a patto che vengano messe in cantiere riforme profonde. E’ bene ricordare che uscire dal tetto massimo può funzionare solo a breve termine. Senza una visione di insieme non si va da nessuna parte, anzi aumentare il rapporto deficit/PIL senza controllo non farebbe che peggiorare la situazione. Perché alla fine la domanda è sempre la stessa: come verranno coperte le uscite in eccesso? Alimentando il debito pubblico o richiedendo poi ai cittadini una ulteriore stretta alla cintura già piena di buchi?

Mario Bello

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