Secondo l’organizzazione non governativa Global Witness ogni anno molti ambientalisti e difensori della biodiversità verrebbero uccisi in condizioni e da individui spesso non meglio identificati, che gettano un alone di tenebra sui rischi della lotta a difesa dell’ambiente.
Gli omicidi si concentrerebbero in particolar modo in America del Sud e riguarderebbero anche minoranze etniche come quelle indios ed autoctone, ma la situazione coinvolge attivisti di tutto il mondo.
L’impietoso rapporto di Global Witness
La difesa dell’ambiente ad ogni costo è ciò che spesso si sente dire da molti attivisti votati alla causa ambientale. Un costo che tuttavia dovrebbe esulare dalla propria integrità fisica, dalla propria vita. Invece così non è, almeno stando al rapporto stilato dalla organizzazione non governativa Global Witness.
L’ente anglo-americano segnala come lo scorso anno abbiano perso la vita 200 attivisti ambientali in tutto il mondo: 200 persone sarebbero quindi morte per posizioni ideologiche personali, per un reato d’opinione si potrebbe quasi dire.
I pericoli maggiori per chi lotta contro sfruttamento di risorse e per il rispetto della biodiversità si concentrano in America Latina, continente che guida la classifica degli stati più pericolosi per gli ambientalisti, detenendo l’intero podio.
Messico, Colombia e Brasile: ecco le nazioni dove essere a favore di un futuro sostenibile e green può comportare serie conseguenze per l’incolumità di chi si fa portavoce di queste battaglie.
Soprattutto ad essere vittima sono coloro che si oppongono allo sfruttamento minerario ed energetico (fonti fossili in particolare), all’agricoltura intensiva e alla deforestazione.
Non un fenomeno recente
Global Witness documenta da ormai un decennio questo lugubre fenomeno, il quale si mostra in tutta la sua impietosa barbarie nel momento in cui si riporta il valore totale di decessi da quando l’associazione svolge di queste rilevazioni: 1.733, un ambientalista ucciso ogni due giorni.
Dato sottolineato è l’origine etnica degli attivisti uccisi, in quanto le morti sembrerebbero riguardare più facilmente persone appartenenti a piccole minoranze etnico-sociali, le quali hanno quindi minori possibilità di far sentire la propria voce e di denunciare con forza vessazioni provenienti da grandi gruppi di interesse economico e politico.In tal senso il 40% dei cadaveri afferisce a gruppi indigeni e minoranze etniche, nonostante queste costituiscano appena il 5% della popolazione mondiale.
Come sottolinea la stessa portavoce di Global Witness, ambientalisti e attivisti indigeni, pur ricoprendo un ruolo fondamentale a contrasto del collasso ecologico, sono sempre più vittime di attacchi fisici e violenza corporea, sono criminalizzati e vessati da corporazioni, aziende e governi repressivi che anteporrebbero il profitto alla salvaguardia biologica.