Nuova ondata di violenze in Israele, dove la morte di un detenuto palestinese ha innescato diversi attacchi.
Dalla striscia di Gaza sono partiti razzi in direzione di Israele, che ne ha intercettato uno grazie al sistema di difesa Iron Dome, gli altri invece sono caduti in zone aperte senza causare feriti. Di rimando, gli israeliani hanno risposto all’offensiva lanciando diverse bombe. Come dicevamo, tutto è stato causato dalla morte di un uomo, membro del movimento islamista palestinese Jihad islamica, che dal carcere stava seguendo lo sciopero della fame da ormai 80 giorni.
C’è stata una nuova escalation di violenze nei territori palestinesi e israeliani, dove la situazione è molto delicata. L’esercito israeliano ha colpito con diversi attacchi aerei la Striscia di Gaza per protestare contro la morte di un detenuto di 45 anni di nome Khader Adnan. Il membro del movimento islamista palestinese Jihad islamica si trovava in carcere ed era in sciopero della fame da circa 80 giorni.
Quando è stata diffusa la notizia della sua morte, sono stati lanciati dei razzi da Gaza verso Israele e i miliziani hanno avvertito che si trattava solo dell’inizio. Una minaccia che è stata raccolta dal mittente, che ha risposto con altrettanta violenza.
Uno dei razzi lanciati dalle fazioni palestinesi è stato intercettato mentre gli altri sono riusciti ad arrivare a destinazione ma per fortuna hanno colpito della aree sostanzialmente vuote. Secondo l’esercito di Israele, in precedenza sei colpi di mortati erano stati lanciati da Gaza verso la parte sud del Paese, alcuni sono ricaduti in territorio palestinese mentre altri nei pressi della barriera di sicurezza. Ancora, un razzo palestinese ha colpito un cantiere edile a Sderot ferendo tre persone.
Episodi come questi si verificano ormai con una certa frequenza e questo è forse il conflitto sul quale il mondo è più attento ai risvolti, parallelamente a quello fra Russia e Ucraina. Il premier Netanyahu ha tenuto una riunione in materia di sicurezza con il ministro della Difesa Yoav Gallant, il consigliere della Sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi e il capo di stato maggiore dell’esercito Herzi Halevy, per fare il punto della situazione e questo è avvenuto poche ore prima degli attacchi di oggi.
La violenza che scuole dalle fondamenta le storie intrecciate di Israele e Palestina è vecchia ma sempre agli onori della cronaca per nuovi attacchi che creano tensioni e allargano il solco sempre più profondo.
A intensificare l’odio fra i due popoli c’è un elemento nuovo, il premier Benjamin Netanyahu, precisamente da quando ha manifestato la volontà di approvare la riforma sulla giustizia. Il primo ministro è tornato al potere con uno dei governi più a destra della storia della nazione ma proprio per evitare il malcontento crescente, ha deciso di sospendere per ora l’iter legislativo della riforma.
Il testo prevede diverse proposte, le più contestate sono soprattutto tre, accomunate dal rischio di indebolire l’indipendenza della Corte Suprema israeliana, sottoponendola al controllo del potere politico. Proprio questo ha causato molti scioperi e rivolte in piazza che hanno richiesto l’intervento delle forze dell’ordine. Per questo motivo il premier ha fatto un passo indietro.
La prima modifica contestata consentirebbe al parlamento di Israele di ribaltare le decisioni della Corte con una maggioranza di 61 voti sui 121 seggi, uno scenario che decisamente agevola la stessa maggioranza di destra radicale di Benjamin Netanyahu, che detiene 64 seggi nella Camera. Ancora, altro aspetto contestato è la privazione per la Corte del potere di controllare e rivedere i punti di quella che potremmo definire come la nostra Costituzione.
La terza modifica invece interviene sulle modalità in cui vengono scelti i giudici del Tribunale supremo israeliano. Fino a questo momento infatti a selezionarli erano delle figure indipendenti mentre la riforma attribuirebbe più potere al governo, incrinando la parità che invece c’è oggi.
L’opposizione ha criticato più volte tutto ciò, sottolineando che la riforma indebolirebbe il ruolo della Corte suprema, sottoponendola al controllo delle forze politiche di governo. Si verificherebbe dunque una situazione simile a quella di altri Paesi come la Polonia e l’Ungheria, già nel mirino dell’Ue per aver varato riforme che violano il principio di separazione dei poteri, portando la magistratura ad essere controllata dal governo.
E ancora, l’aspetto che viene molto criticato è quello che riguarda i processi di Benjamin Netanyahu, dove potrebbe essere scagionato più facilmente, inoltre sarebbe più facile l’approvazione di strette contro gli insediamenti israeliani. Da parte sua il premier risponde a questa situazione dicendo che la riforma servirebbe a diminuire l’accanimento della Corte contro di lui, che si dice perseguito per ragioni politiche.
Insomma l’argomento è molto vasto ma anche delicato e come abbiamo visto, le reazioni sono a di poco cruente.
Il leader della Jihad palestinese era uno dei principali esponenti del movimento in Cisgiordania. A riferire della sua morte è stato il servizio carcerario israeliano, che ha fornito alcuni dettagli in merito.
Nella notte fra il primo e il 2 maggio, l’uomo è stato trovato privo di sensi nella sua cella ed è stato trasferito in ospedale, dove è stato confermato il decesso. Adnan era stato tratto in arresto per la decima volta a febbraio, poiché era sospettato di far parte di un’organizzazione terroristica.
In passato aveva seguito altri scioperi della fame e la sua morte ha alimentato le proteste odierne perché l’uomo aveva un grande seguito ed era molto popolare. I familiari hanno accusato le autorità di gravi negligenze verso i confronti del 45enne, accusandole di averlo ucciso, tuttavia dal carcere fanno sapere che il detenuto era molto ostile e non voleva nemmeno sottoporsi alle cure mediche.
Dopo la divulgazione della sua morte, Israele ha diramato lo stato di allerta intorno al territorio di Gaza proprio per il timore di ripercussioni violente e infatti così è stato. Le fazioni armate attive a Gaza hanno rivendicato i primi attacchi, quelli senza vittime, e anche i successivi a Sderot, definendola soltanto una prima reazione.
L’allerta dunque continua così come la tensione molto elevata in Cisgiordania, dove alcuni gruppi hanno aperto il fuoco contro le automobili israeliane. Sono stati organizzati scioperi e manifestazioni, indetti anche dai detenuti palestinesi che si trovano all’interno delle carceri di Israele.
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