Il razzismo corre ancora sui mezzi pubblici. Lo dimostra la storia e oggi anche la cronaca con l’ennesima polemica che parte dalla situazione dei migranti in Italia, e in particolare a Milano. Il coordinamento Rsu dei lavoratori Atm ha mandato una lettera all’azienda dei trasporti milanesi in cui chiede agli autisti iscritti di astenersi dal guidare gli autobus usati dai migranti “in mancanza di garanzie sanitarie certificate o dotazioni di prevenzione” da eventuali patologie. Per il trasporto dei migranti, che stazionano in Centrale da giorni, sono stati usati otto bus del parco macchine Atm: stando alla nota, ci sarebbe un rischio per gli autisti dopo i casi riscontrati di scabbia e uno di malaria. Immediata la risposta dell’azienda che conferma la “sanificazione e igienizzazioni secondo protocolli medici” di tutti i mezzi, ma la polemica è già innestata.
Secondo le sigle sindacali che hanno firmato la lettera, a eccezione della Cigl, mancherebbero le garanzie igienico- sanitarie per i lavoratori e per gli utenti, perché “gli autobus vengono rimessi in servizio per i passeggeri di linea senza l’opportuna sanificazione del mezzo”.
L’Atm ha smentito con forza queste accuse. Per questo servizio sono stati usati otto bus sugli oltre 1.200 mezzi di superficie, specifica l’azienda milanese in una nota, con un totale di dieci corse a fronte delle oltre 24mila giornaliere. Ogni viaggio si è svolto, continua la nota, sotto sorveglianza medica. “A servizio concluso le vetture utilizzate sono state igienizzate e sanificate secondo i protocolli sanitari. Tali procedure sono state sottoposte anche a verifica da parte del coordinatore dei medici competenti, il quale ne ha confermato l’analogia con quanto prescritto in ambito ospedaliero. Mai a rischio quindi sono stati né i clienti, né i dipendenti”, conclude l’azienda.
L’assessore alla Mobilità, Pierfrancesco Maran, ha confermato a sua volta che la procedura di sanificazione e igienizzazione è stata eseguita nel rispetto delle normative sanitarie. “Chi fa polemica su questo non solo è in malafede, ma genera un ingiustificato allarme in tre milioni di utenti dei mezzi pubblici”, ha commentato. Poco importa che il trasporto dei migranti ammalati sia avvenuto con ambulanze e in direzione degli ospedali: la paura del diverso corre sui bus anche nella civile Milano.
Il razzismo sui mezzi pubblici
Non è certo il primo caso del genere. Treni, autobus e metropolitane sono stati teatri di episodi di razzismo anche negli anni scorsi. Il caso più eclatante ha visto come protagonista l’europarlamentare leghista Mario Borghezio, colto dalle telecamere a disinfettare un vagone del treno su cui viaggiavano alcuni extracomunitari. Nell’aprile 2011, sul treno della tratta Matera-Bari, un controllore si rivolse a un gruppo di persone di colore, forse senza biglietto, augurandosi che “venisse Hitler a tagliarvi la testa e mettervi nel forno crematorio”. Fatti del genere avvengono ovunque.
Solo per ricordarne uno, lo scorso febbraio a Parigi, un gruppo di tifosi del Chelsea in città per la partita di Champions League, non hanno fatto salire sul metro i passeggeri di colori al grido di “Siamo razzisti e ci piace”. Gli episodi di razzismo quotidiano sui mezzi pubblici sono all’ordine del giorno; normali cittadini ma soprattutto autisti o controllori che si scagliano contro gli stranieri, inveendo con le solite frasi fatte del “razzismo da città”, di quelli che “non sono razzista ma…”. Perché i mezzi pubblici sono teatri di questi episodi? Perché sono luoghi pubblici, dove le differenze sono annullate e dove la condivisione dello spazio è obbligata. Per questo, negli anni sono diventati luoghi dove il razzismo istituzionale si è espresso al meglio, concretizzando la divisione per razze.
I bus per i diritti civili: Rosa Parks e il Sudafrica
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I mezzi pubblici sono il luogo della quotidianità: chiunque può salire su un tram, un bus o un treno per viaggiare o andare al lavoro, sono il cuore della libera circolazione moderna e per questo sono stati anche simboli della lotta per i diritti civili. Nel Sudafrica dell’apartheid, i neri non potevano salire sugli stessi autobus dei bianchi: farlo significava sfidare apertamente le leggi segregazioniste e la lotta di Nelson Mandela è passata anche da qui, da uomini che hanno avuto il coraggio di salire su un bus per dimostrare di avere gli stessi diritti e di meritare lo stesso rispetto.
Il simbolo della lotta per i diritti civili è però una donna statunitense: Rosa Parks. Negli anni Cinquanta la segregazione tra bianchi e neri negli USA era ancora istituzionalizzata anche nella vita di tutti i giorni. Sugli autobus di Montgomery, Alabama, c’erano tre ordini di posti: gli ultimi 10 in fondo riservati ai neri, i primi 10 davanti riservati ai bianchi, in mezzo quelli che potevano essere usati da entrambi. Per legge però, un afroamericano, seduto su quelli comuni, doveva lasciare il posto a un bianco che non avesse trovato posto tra quelli a loro riservati.
Il 1° dicembre 1955 Rosa Parks sta tornando dal lavoro su un bus: ha male ai piedi e non trova posti tra quelli per i neri e così si siede sul primo della fila di quelli comuni. Tre fermate dopo, l’autista le chiede di alzarsi e fare posto a un bianco, salito dopo di lei. La donna non si scompone: mantiene la calma e rifiuta di alzarsi. L’autista chiama la polizia e Rosa viene arrestata: il suo no fa il giro degli Stati Uniti. Quella notte, i leader della comunità afroamericana, guidati da Martin Luther King, danno il via al boicottaggio degli autobus di Montgomery, prima tappa della lunga marcia per i diritti civili.
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