Con l’espressione revenge porn si identifica la pratica, diventata purtroppo sempre più popolare negli anni, di condividere immagini e video intimi tramite internet senza il consenso dei protagonisti dei fotogrammi.
Lo scopo è quello di umiliare le vittime, più spesso donne, e la condivisione è il più delle volte opera di ex partner che utilizzano il materiale scambiato durante la relazione per vendicarsi della rottura. L’ennesimo esempio di violenza perpetrato ai danni delle ex compagne.
Proprio in corrispondenza della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che nel nostro Paese registra ancora numeri spaventosamente alti, con un femminicidio ogni 3 giorni, il Servizio analisi della Direzione centrale della Polizia criminale pubblica i dati del revenge porn nel dossier «Un anno di codice rosso» .
In Italia, la legge contro il revenge porn è entrata in vigore il 9 agosto 2019, con il nome di “Codice Rosso”. Nel pacchetto di misure introdotte dal Guardasigilli Alfonso Bonafede contro la violenza di genere, la giurisprudenza italiana afferma che le denunce e le indagini per i casi di violenza contro le donne o i minori debbano seguire una procedura preferenziale, nel contempo inasprisce le pene e dilata i tempi per sporgere denuncia (da 6 a 12 mesi).
Oltre ai reati già presenti nella nostra giurisprudenza (maltrattamenti contro familiari e conviventi, stalking, violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo), la legge del 2019 introduce alcuni nuovi reati: sfregio del volto, costrizione o induzione al matrimonio, violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
In ultimo, la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate, cioè il revenge porn.
Il reato di revenge porn è sanzionato con la reclusione da 1 a 6 anni e una multa che può andare dai 5mila ai 15mila euro.
Il reato è commesso da chi diffonde, senza il consenso delle persone interessate, immagini o video sessualmente espliciti, prodotti dai soggetti ivi presenti per se stessi o anche condivisi privatamente, per provocare un danno a chi è coinvolto.
È anche stata prevista una aggravante nel caso in cui il reato sia commesso nell’ambito di una relazioneaffettiva, presente o passata.
A poco più di un anno dall’approvazione della legge “Codice Rosso”, il ministro Alfonso Bonafede ha commissionato un report che è stato presentato in streaming con la partecipazione all’evento del premier Giuseppe Conte, della ministra per le Pari opportunità e la famiglia Elena Bonetti e di Valeria Valente, presidente della Commissione di inchiesta sul femminicidio e sulla violenza di genere.
Dal dossier emerge che nei primi 14 mesi della sua applicazione, siano già state ben 1.083 le inchieste aperte per revenge porn.
Tra il 1° agosto 2019 e il 31 luglio 2020, per i 4 nuovi reati introdotti, sono state aperte in tutto 3.932 indagini e, per quelle già concluse, in 686 casi è stata già formulata richiesta di rinvio a giudizio.
I processi invece conclusi sono stati 90, di cui 65 in fase di udienza preliminare e altri 25 in Tribunale, e nel complesso sono già state inflitte 80 condanne, compresi i patteggiamenti e i decreti penali. Altri 120 processi sono in corso in fase di dibattimentale.
“Il dato corposo delle denunce e quello dei procedimenti già approdati alla condanna in primo grado consentono di rilevare l’utilità concreta dell’approccio procedimentale, basato sulla corsia preferenziale dell’ascolto, e della introduzione dei nuovi reati. Il dato complessivo delle richieste di rinvio a giudizio appare significativo dell’opportunità dell’intervento normativo del Codice Rosso, in mancanza del quale le gravi condotte tipizzate non avrebbero avuto risposta adeguata“, si legge nel commento al dossier del Guardasigilli Alfonso Bonafede.
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