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Dylan Dog, Mater dolorosa: recensione in anteprima

Era il 26 settembre del 1986 quando Dylan Dog, attraverso l’acuta penna di Tiziano Sclavi, creatore del personaggio, e grazie ai disegni di Angelo Stano, prende vita con il primo numero intitolatoL’Alba dei morti viventi. L’albo della Sergio Bonelli Editore invade la quotidianità della cultura pop italiana, per poi conquistare il mondo intero. Il 1986 è stato un anno “leggermente” prolifico per il fumetto, soprattutto per un particolare stile fumettistico. In quell’anno uscì Il ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller (probabilmente la miglior storia mai scritta sul personaggio di Batman) e Watchmen di Alan Moore, secondo il Time (nella classifica stilata nel 2005) uno dei migliori 100 romanzi in lingua inglese dal 1923 ad oggi.


Sclavi, Moore e Miller. A 30 anni di distanza Watchman e Il Cavaliere oscuro, ogni tot anni, vengono ristampati per le nuove generazioni, per avere un volume più bello, più curato, con editoriali sempre più interessanti, eccetera. Ma Dylan Dog esce, ogni mese, in edicola. Dopo 30 anni di vita, tra pietre miliari, citazioni, racconti belli e brutti, emozioni di qualsiasi tipo, ha sempre cercato di essere una finestra sulla realtà, sul presente, su ciò che accade mentre l’autore scrive.

Dylan Dog ha determinato tanto, tantissimo nel fumetto italiano e, più in generale nel panorama del fumetto occidentale. La Sergio Bonelli Editore ha dato fiducia a Tiziano Sclavi e l’autore ha ricambiato nel migliore dei modi, portando Dylan ad essere uno dei personaggi italiani più conosciuti al mondo. Sclavi è un autore incredibile, dotato di una cultura ampia e dettagliata e grazie a questa inizia un percorso esplorativo attraverso le avventure di DD: le citazioni, i personaggi, le paure, le donne, i misteri, tutto è studiato nei minimi dettagli, tutto è una macchina perfetta, creata da uno dei migliori scrittori italiani, non del mondo del fumetto ma di tutto ciò che riguarda la letteratura italiana degli ultimi 30 anni.

Torniamo al presente dopo questo breve tuffo nel passato, sono passati 361 numeri, Dylan Dog si presenta ai suoi lettori con un’altra grande sfida che si intitola “Mater Dolorosa” scritto da Roberto Recchioni, attuale curatore della testata, e disegnato e colorato da Gigi Cavenago. Lo sceneggiatore romano ci porta nella vita di un Dylan bambino, tralasciando (in parte) la continuity Dylaniata per dedicarsi ad un approfondimento viscerale del personaggio creato da Sclavi.

Mater Dolorosa, il titolo è eloquente. Un trionfo delle emozioni, dei sentimenti e soprattutto della sofferenza, regina del caos e madre fondamentale per la crescita e lo sviluppo delle conoscenza. Roberto Recchioni ci ripresenta un personaggio che in passato è riuscito a piacere, persuadere, far discutere, un personaggio complesso ma allo stesso tempo affascinante, Mater Morbi di quel famoso numero 280 che ha fatto molto parlare di sé, sia all’interno del mondo del fumetto sia all’esterno, tra politica e sanità. Quel numero è diventato un marchio di fabbrica, una pietra miliare nella carriera ventennale dell’autore romano che lo ha fatto ristampare dalla Bao Publishing in un’edizione a dir poco spettacolare.

Il ritorno della sofferenza anche se, di fatto, lei non va mai via. E’ sempre li con Dylan e, in realtà, con noi. Mater Morbi è tornata in una versione ancora più ostinata e perversa. Lei, la madre di tutte le malattie, vuole veder regnare il dolore, la sofferenza e il caos e la strada per evitare la sua vittoria, quasi scontata, non è, in alcun modo, la ricerca, la scienza o qualche altro metodo per evitare il dolore oppure per pensare di poterlo in qualche modo persuadere, no! Quello sarebbe solo un modo per contraffare e aggirare Mater Morbi e di fatto darle la possibilità di “giocare” con noi.

A volte il nostro dolore non è affatto fisico anche se pensiamo che sia da li che arrivi ogni male. Il nostro corpo fa quello che noi diciamo di fare, il vero malato non è il corpo ma è sempre la mente. E’ li che Mater Morbi attacca per prima ed è solo dalla mente, dalla ragione che possiamo cercare di uscirne, anzi di accettarlo. Esatto, accettare è il verbo per uscire da quel caos, da quella tempesta, da quel mare infinito che è la sofferenza. Accettare il dolore, lasciare che ti passi dentro, attraverso, senza oppore alcuna resistenza, lo dice Dylan stesso ed è questa la vera formula magica, il segreto secondo Roberto Recchioni e non la scienza.

Dylan Dog è immerso tra le storie del suo passato, tra iconici ricordi e nuovi avversari da affrontare. Roberto Recchioni ci mostra, attraverso delle tavole incredibili di Gigi Cavenago – in forma strepitosa con matite e colori quasi metafisiche, oniriche, una prova davvero pazzesca del disegnatore milanese – come si rischia di diventare degli zombie senza alcuna anima, senza sentimenti e senza cuore. Il limite, la linea di confine, è sottilissimo e Mater Dolorosa in questa finzione del mondo ci sguazza.

L’autore romano ci immerge in diversi livelli di racconto e avventura: Dylan del passato, il Dylan del futuro e la versione 2.0 di Mater Morbi, la versione astratta, l’incubo di Dylan Dog dove sola la madre del dolore e delle malattie è personaggio attivo. Dolore, sofferenza e malattia. Concetti difficili che possono essere di complessa comprensione ma Roberto Recchioni è riuscito a spiazzare il lettore senza creare del disturbo, senza creare danno al personaggio. Ritorniamo a Gigi Cavenago: la prima volta in un albo di Dylan Dog è stata assolutamente perfetta. Occupazione degli spazi, matite, colori, espressionismo di un mondo dylaniato.

L’albo numero 361 – Mater Dolorosa è un albo davvero riuscito che, nel perfetto vecchio stile di Dylan Dog, riesce a portare più domande, più dubbi, più perplessità, più paure rispetto a quante risposte riesce a fornire. Un unico filo conduttore e forse un’unica fine che non è di certo una fine per Dylan Dog che oggi compie 30 anni. Auguri Dylan.

Fabio Fagnani

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