Non credo che lo avrei mai detto perché ero pieno di dubbi e perlplessità ma l’ultima fatica di Shyamalan, Split, è davvero un gran bel film. Non solo dal punto di vista narrativo, e questo nessuno può toglierglielo, ma anche dal punto di vista di regia, recitazione e capacità di coinvolgere il pubblico e creare suspense.
Split è uscito nelle sale cinematografiche italiane giovedì 26 gennaio. È passato un po’ in sordina, sottovalutato da molti, non da tutti certo ma massacrato da La La Land che ha preso il sopravvento nelle sale di tutto il mondo. Split è stato apprezzato soprattutto da chi ama il regista americano, nato in India, e chi ama il genere thriller psicologico e, per fortuna, non sono cosi pochi. Attualmente, in tutto il mondo, Split ha incassato più di 100 milioni di dollari, a fronte di un budget di circa 10 milioni di dollari. Un ottimo risultato sino a questo momento e le fortune si devono dividere soprattutto tra due perni centrali di questo film: la grande caparbietà registica di Shyamalan e l’interpretazione impressionante di James McAvoy, davvero un fuoriclasse. Si è dimostrato versatile, reale, forse dico un’eresia ma credo che abbia messo in regola ogni credo di Jerzy Grotowski.
Semplice quanto complesso. Nel senso che la trama racconta della malattia di Kevin Wendell Crumb. Un uomo con 23 personalità differenti, tutte caratterizzate in maniera incredibile. Tutte? No. Non è vero, non vengono mostrate tutte, ma non è questo ciò che conta. Quello che conta è che Kevin, o una delle sua personalità, è soggetto di studi da parte di una psicologa che crede che questi soggetti non siano problematici o un difetto della società ma anzi quasi dei super uomini.
Veniamo subito catapultati nell’azione di una delle personalità che rapisce tre ragazze e le porta in un luogo chiuso, lontano, apparentemente, da tutto. La storia si sviluppa in maniera intricata con il protagonista che interpreta un personaggio diverso a seconda dell’ora del giorno e/o a seconda dell’abbigliamento che indossa. La cosa incredibile, che sottolinea anche la dottoressa, è che alcune personalità soffrono di allergie, influenze, problematiche fisiche (non mentali) differenti, proprie. Quasi come se ogni personalità fosse un individuo a sé ed è per questo che la psicologa è cosi curiosa e affascinata dal soggetto.
Detto ciò Split di M. Night Shyamalan si propone come una novità interessante, con diverse possibilità di recepire il messaggio, e/o i messaggi del regista. La sofferenza, alla fine dei conti, è una tematica che si propone come vero fulcro del film anche se è quasi riduttivo parlare solo di sofferenza in questo prodotto. La nota negativa, se devo trovarne una, è la scelta della 24° personalità, anche se riporta connotazioni animalesche, da cui prende di fatto l’appellativo di Bestia, che sarebbe potuta essere caratterizzata meglio e in maniera meno fantasiosa. L’ho trovata un filo esagerata, una caduta di stile, un’estremizzazione che si poteva evitare e in molti in sala hanno storto il naso ma il film rimane un prodotto di alta qualità. E rimane di qualità la volontà, e la ben riuscita, di creare un universo narrativo condiviso che potrà portare alla creazione di altri film e di un filo conduttore molto interessante e poco marcato nel mondo del cinema contemporaneo.
Una psicologa esperta e vittima della malattia di multipersonalità ha scritto un messaggio diretto al regista del film che inizia così: “Questo significa che milioni di persone hanno visto o vedranno la sua storia su un uomo che soffre di un disturbo dissociativo dell’identità. Personalmente penso che sia una vergogna. Per quanto io faccia il tifo per lei come artista, Mr. Shyamalan, sono arrabbiata dal fatto che si sia scelto di scalare il successo sulle spalle già sovraccaricate di chi è malato mentalmente”.
I toni sono comprensibili ma la psicologa non si ferma qui e continua: “Essendo una psicologa esperta sull’argomento e una persona che soffre di multiple personalità, penso che sia il mio dovere spiegare alcuni fatti: le persone che soffrono di un disturbo dissociativo non sono, in generale, raccapriccianti o ingannevoli, non ci nascondiamo in vicoli oscuri. Non siamo rapitori che rinchiudono teenager in cantina, e sicuramente non siamo assassini. Invece siamo mariti e mogli, padri e madri, amici e vicini di casa che soffrono in silenzio di una condizione dolorosa, paurosa e spesso debilitante in cui il concetto di chi siamo è diviso in parti frammentate.
La nostra condizione è causata da una storia di abusi gravi e ripetuti vissuti da bambini. In verità siamo vittime di una violenza impossibile da immaginare. Avere più personalità, come la depressione, lo stress post traumatico e i tentativi di suicidarsi sono solo sintomi di infanzie terribili”. La dottoressa conclude paragonando il regista americano a un bullo che si prende gioco di un debole: “Quando a Hollywood vi prendete gioco del nostro problema non siete diversi dai bulli che nel giardino di scuola prendono di mira un ragazzo disabile. Fareste un film con protagonista una persona Down con delle fantasie sessuali deviate? Scrivereste di un killer armato di coltello che soffre di autismo? Ovviamente no, sarebbe di cattivo gusto. Allora perché va bene prendere in giro la mia malattia mentale?”.
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