Più di un anno ha separato l’annuncio del Redditometro, nuovo strumento per combattere l’evasione fiscale, dalla sua effettiva entrata in vigore. In tutto questo tempo il Fisco ha messo a punto il meccanismo di funzionamento, ha rimediato (almeno in parte) alle problematiche sollevate dal Garante della Privacy ed ha rivisto le regole per il contenzioso tra contribuente e Agenzia delle Entrate. Il 2014 è l’anno del debutto ufficiale, in riferimento alla dichiarazione dei redditi 2010, relativa al periodo di imposta 2009. I controlli fiscali sono partiti e sono già in viaggio le prime lettere. Cerchiamo allora di capire come funziona il Redditometro 2014 e quali sono i rischi per i contribuenti.
Il nuovo anno si è aperto con la pubblicazione, all’interno del modello 730 e delle altre dichiarazioni dei redditi 2014, di una informativa specifica sul Redditometro. In pratica questa informativa rende noto ai contribuenti che i dati inseriti nelle dichiarazioni potranno essere utilizzati dall’Agenzia delle Entrate al fine di realizzare gli accertamenti necessari. Il riferimento non è, peraltro, solo alle cifre dichiarate ma a tutti “i dati personali, presenti in Anagrafe Tributaria, nonché ottenuti tramite scambi di informazioni con altre autorità pubbliche e soggetti privati conformemente alla legge“. Un complesso sistema di incrocio tra banche dati che dovrebbe rendere davvero difficile la vita agli evasori fiscali. Il Redditometro, come detto, ha validità retroattiva, dato che l’indagine del Fisco partità da quanto dichiarato per il 2009 nelle dichiarazioni 2010.
Fin qui il funzionamento il linea generale, ma cosa controllerà il Fisco nello specifico? Quali sono le voci di spesa che mettono a rischio i contribuenti? Partendo dai dati forniti nelle dichiarazioni dei redditi, l’Agenzia delle Entrate procederà alla ricostruzione del reddito, mettendo a confronto il reddito dichiarato con le spese certe effettuate nell’anno (per esempio acquisti di beni immobili, di mezzi di trasporto, spese indicate nelle dichiarazioni per usufruire di deduzioni o detrazioni d’imposta e altre spese per beni e servizi) o ricavate dagli elementi certi (per esempio possesso di beni quali gli immobili, gli autoveicoli, le imbarcazioni, gli aerei, i cavalli). Qualora dovesse esserci uno scostamento del 20 per cento (o superiore) tra quanto dichiarato e spese effettivamente sostenute, l’Agenzia invierà la famosa lettera l contribuente, per chiamarlo a giustificare questo ‘buco’.
Parte così la fase di contraddittorio, in cui il cittadino “potrà rappresentare la reale situazione familiare (per esempio figli conviventi con reddito proprio) e chiarire le ragioni di tale scostamento (come l’esistenza di redditi che non era obbligato a dichiarare, disinvestimenti, risparmi accumulati negli anni precedenti)“. L’oggetto di questo confronto saranno dunque le spese certe, ovvero quelle di cui il contribuente può presentare documentazione, ma anche la disponibilità di ogni bene di cui il Fisco possieda informazioni non contenute nella dichiarazione. Per tutte queste spese il contribuente può presentare prove che attestino che esse sono dovute: a) a redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta; b) a redditi esenti; c) a redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta; d) a redditi legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile.
A questo punto del contenzioso la pratica potrà essere chiusa se il cittadino riesce a convincere l’Agenzia della bontà delle sue spese ma, qualora sussista ancora il sospetto di evasione, potrà essere stabilito un accertamento approfondito la cui prondità verrà valutata caso per caso (e dipende anche dall’entità dello scostamento tra quanto dichiarato e spese effettive realizzate). In ogni caso l’occhio del Fisco è sempre più implacabile: se questo fermerà davvero gli evasori seriali oppure colpirà soltanto i pesci piccoli, questo è da vedere.
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