Il referendum in Catalogna per l’indipendenza getta Barcellona e tutta la Regione nel caos. Scontri nella giornata di domenica 1 ottobre, con la Guardia Civil che ha caricato in diverse città le persone in coda ai seggi, con un bilancio di oltre 840 feriti. In tarda serata sono arrivati i risultati dello spoglio: sugli oltre 5 milioni di catalani chiamati alle urne, sono andati a votare 2,2 milioni, meno della metà, facendo registrare un risultato netto a favore dell’indipendenza con il sì a oltre il 90%. I numeri raccontano la realtà di un paese diviso non solo tra governo regionale e nazionale, ma anche all’interno della stessa Catalogna. La tensione è ora ai massimi livelli, soprattutto a livello politico. Il premier Mariano Rajoy ha dichiarato che domenica non si è tenuto alcun referendum, mentre il presidente de la Generalitat, Carles Puigdemont, ha annunciato che entro pochi giorni dichiarerà l’indipendenza della Catalogna unilateralmente.
La giornata del 1 ottobre ha visto scene di violenza per le strade di Barcellona e di altri comuni catalani: la Polizia nazionale, arrivata in massa in Catalogna su ordine del governo centrale per impedire il voto, ha usato metodi non certo pacifici contro i votanti, con tanto di manganellate su donne, anziani, giovani e meno giovani, portando a 844 (al momento) i feriti accertati. Ora la situazione, che già era complicata, è, se possibile, ancora più intricata, in un reciproco scambio di accuse tra Barcellona e Madrid.
[didascalia fornitore=”ansa”]In coda per votare al referendum in Catalogna[/didascalia]
Al termine della giornata ad altissima tensione, il portavoce del governo catalano, Jordi Turull, ha annunciato i risultati del referendum in Catalogna: 2.262.424 le schede conteggiate, il 90% (2.020.144) favorevoli all’indipendenza, mentre il 7,8% (176.000 votos) hanno votato no, con 45.585 schede bianche e 20.129 nulle. Turull ha poi specificato che mancherebbero 770.000 voti da circa 400 collegi da cui le urne, già sigillate, sarebbero sparite nel nulla.
Il governo catalano ha poi sottolineato il dato dell’affluenza: sui 5,3 milioni di catalani chiamati alle urne, hanno votato 2,2 milioni, meno della metà. Secondo il portavoce, conteggiando anche i voti “rubati”, si sarebbe comunque intorno al 55%, dato importante per la Generalitat se si tiene conto della presenza massiccia della Polizia ai seggi.
[didascalia fornitore=”ansa”]Rajoy (a sin) e Puigdemont (a dx)[/didascalia]
Nel day after del referendum in Catalogna risuonano ancora più pesanti le dichiarazioni dei due leader politici protagonisti del voto. Da un lato c’è il premier Rajoy, accusato da più parti di aver usato metodi franchisti scatenando la violenza della polizia contro civili inermi; dall’altro c’è il presidente catalano Puigdemont, pronto a dichiarare l’indipendenza della Catalogna in barba alle leggi nazioni e internazionali.
Il primo si è fatto sentire nella serata di domenica, con un discorso breve ma significativo. “Non c’è stato alcun referendum, abbiamo assistito a una semplice messa in scena”, ha dichiarato dal palazzo della Moncloa.”È stato un attacco premeditato e consapevole, a cui lo Stato ha reagito con fermezza e serenità”, ha aggiunto, concludendo che il governo centrale ha “fatto quello che dovevamo fare, agendo con la legge e solo con la legge”.
Toni diametralmente opposti quelli di Puigdemont per il quale la Catalogna, grazie al referendum sull’indipendenza, “si è guadagnata il diritto a essere uno Stato indipendente“, tanto da essere pronti, come Generalitat, a dichiararla unilateralmente in pochi giorni. “Lo Stato spagnolo ha scritto una pagina vergognosa nei rapporti con la Catalogna”, ha aggiunto in merito alle violenze della Guardia Civil.
Il presidente catalano si è appellato all’Unione Europea perché faccia da intermediaria tra Barcellona e Madrid. “La situazione che è stata generata in Catalogna dall’intransigenza e la repressione, dalla negazione assoluta del riconoscimento della realtà, dalla ostilità contro le esigenze democratiche dei cittadini del nostro Paese, non è più una questione interna. È una questione di interesse europeo”, ha dichiarato, facendo appello “ai valori fondamentali di pace, libertà, coesistenza e democrazia che stiamo costruendo per decenni e da prospettive molto diverse”.
[didascalia fornitore=”ansa”]Sostenitori dell’indipendenza della Catalogna[/didascalia]
La vera domanda è cosa succederà ora dopo il referendum in Catalogna? In realtà ancora non è chiaro. Il presidente catalano si è detto pronto a dichiarare l’indipendenza della Catalogna unilateralmente, usando la legge sul referendum e, in particolare come ricorda El Pais, l’articolo 4.4 che dà due giorni di tempo dopo il voto per convocare il Parlamento in una sessione ordinaria ed “effettuare la dichiarazione formale di indipendenza della Catalogna e dare il via al processo costituente”.
Il problema è che la legge sul referendum è illegale (quindi di fatto non utilizzabile) perché sospesa dalla Corte Costituzionale spagnola e perché non approvata dalla stessa legge catalana, che prevede la maggioranza di due terzi del Parlamento per la modifica dello Statuto di Autonomia della Catalogna (che non c’è stata) e il parere preventivo del Consell de Garanties Estatutàries, il Tribunale Costituzionale della Catalogna, l’organo che controlla la legalità delle leggi approvate dalla comunità autonoma.
La Spagna non ha alcuna intenzione di concedere l’indipendenza alla Catalogna e farà di tutto perché ciò non accada, usando l’arma della legalità. Già da più parti si chiede l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione Spagnola che permette al governo centrale di imporre il rispetto delle leggi nazionali al governo catalano e, nel caso, di sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni locali. Tra i più ferventi sostenitori di questa linea c’è il leader di Ciudadanos, Alberto Rivera, che l’ha dichiarato in tv sulla rete nazionale Telecinco.
Nel mezzo c’è l’Europa, a cui si è rivolto il presidente catalano, che però non ha nessun potere per gestire la situazione. L’UE non si è mai trovata a dover gestire la secessione interna a uno stato membro e ha preferito rimanere fuori dalla questione prima del voto.
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All’indomani della votazione e delle violenze, Jean-Claude Juncker ha condannato le violenze ma ha ricordato che il referendum non è legale. “Secondo la costituzione spagnola, il voto in Catalogna non è legale”, si legge nella nota del presidente della commissione. Il rischio per la Catalogna è di “trovarsi fuori dall’UE” perché non in linea con la Costituzione.
“Oltre agli aspetti puramente legali, la Commissione ritiene che questi devono essere tempi di unità e stabilità, non di divisioni e frammentazione”, continua la nota. “Ci appelliamo a tutte le parti interessate a procedere molto rapidamente al confronto e al dialogo. La violenza non può mai essere uno strumento della politica”, conclude, dando mandato al premier Rajoy di “gestire il difficile processo nel pieno rispetto della costituzione e dei diritti dei cittadini”.
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