Tema centrale del referendum costituzionale è il nuovo volto del Senato. La fine del bicameralismo perfetto non significa che uno dei due rami del Parlamento sparisce, ma che cambia composizione per numero e metodo di voto. L’attenzione è rivolta al Senato che, fin dalla nascita della Repubblica italiana, è stato al centro del dibattito parlamentare: dopo il referendum del 2 giugno 1946, quando gli italiani scelsero tra repubblica e monarchia, il vecchio Senato di nomina regia venne sciolto (per la precisione nel 1947) e da subito iniziò un duro scontro politico tra monocameralismo, bicameralismo e, in questo caso, di che tipo. Alla fine prevalse il bicameralismo perfetto e il Senato venne equiparato nella durata e nel metodo di voto (5 anni e suffragio universale alle elezioni politiche) alla Camera. Con l’addio al bicameralismo perfetto, il nuovo Senato dovrà cambiare: vediamo come.
La riforma costituzionale va a modificare l’articolo 57 della Costituzione che si occupa del numero e dello status dei senatori. A oggi, in base alla Carta costituzionale, a Palazzo Madama siedono 315 senatori eletti su base regionale alle elezioni politiche, 6 dei quali nella circoscrizione Estero.
NUMERO DEI SENATORI: il secondo articolo del ddl Boschi interviene innanzitutto sul numero dei senatori nel nuovo Senato che scende a 100, 5 dei quali scelti dal Presidente della Repubblica.
ADDIO AI SENATORI A VITA: fermiamoci un attimo su questi ultimi perché, di fatto, la riforma cancella i senatori a vita di nomina presidenziale, mantenendo il titolo solo per gli ex Presidenti della Repubblica. Il ddl Boschi modifica l’articolo 59 della Costituzione, secondo comma, dando al Capo dello Stato la possibilità di nominare senatori cinque “cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario“, il cui mandato dura 7 anni e non è più rinnovabile. Non cambia nulla per gli attuali senatori a vita.
ELEZIONE INDIRETTA DEI SENATORI: torniamo ora all’assemblea del nuovo Senato. Oltre a diminuire il numero degli eletti da 315 a 95, la riforma cambia anche il modo in cui sono eletti, inaugurando l’elezione indiretta dei senatori. I componenti del nuovo Senato verranno eletti dai Consigli Regionali, a loro volta eletti dai cittadini alle elezioni regionali (da qui l’elezione indiretta). In particolare, saranno eletti con metodo proporzionale dai Consigli che sceglieranno tra di loro 74 senatori: gli altri 21 (al raggiungimento dei 95) saranno scelti tra i sindaci e i primi cittadini delle città metropolitane, uno per Regione.
DURATA DEL MANDATO: l’articolo 2 della riforma si occupa anche del nuovo status dei senatori. La durata del mandato nel nuovo Senato coincide con quella dei Consigli Regionali in cui si è eletti. La composizione dell’assemblea può dunque cambiare a seconda di quando si va al voto in Regione e di chi vince. Salta anche il limite di età per l’elezione a Palazzo Madama.
IMMUNITA’: quando la riforma parla di mantenere “le prerogative dello status dei deputati anche alle attività parlamentari dei senatori“, vuole indicare che l’immunità dei senatori rimane invariata anche nel nuovo Senato. Ricordiamo che a oggi, i senatori godono della stessa immunità dei colleghi di Montecitorio: non possono essere arrestati o sottoposti a intercettazione senza l’autorizzazione del Senato, ma solo per le attività svolte da senatori (e non da consiglieri regionali)
STIPENDIO: altro tema chiave è lo stipendio dei senatori: la riforma specifica che i nuovi senatori non percepiranno alcuna indennità per esercitare il mandato, cioè non verrano pagati per il loro lavoro a Roma, ma prenderanno solo il rimborso spese per la trasferta.
La riforma della Boschi, al capitolo delle “modifiche al Titolo V della II parte della Costituzione”, specifica anche quanto dovranno prendere di stipendio i consiglieri regionali/senatori. L’articolo 35 della riforma va a modificare il primo comma dell’articolo 122 della Costituzione e recita che i consiglieri non potranno percepire più del sindaco dei comuni Capoluogo di Regione (per il Lazio non potranno superare quello del sindaco di Roma , per la Lombardia quello del sindaco di Milano e così via).
ALTRI TEMI DA APPROFONDIRE: vi invitiamo a cliccare i seguenti link per scoprire come cambia la funzione legislativa paritaria, come cambia l’iter di approvazione delle leggi con le relative tempistiche e come vengono modificate altre garanzie costituzionali come l’elezione del Capo dello Stato o la dichiarazione dello stato di guerra.
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LE RAGIONI DEL SI’
MENO SPRECHI: una delle ragioni su cui il sì insiste di più per il cambio di ruolo e di numero dei senatori è il risparmio per le casse dello Stato. Con il ddl Boschi si attua un taglio ai parlamentari (220 in meno) e, allo stesso tempo, il taglio agli stipendi dei senatori che, da consiglieri regionali, non potranno prendere più del sindaco capoluogo di Regione.
RAPPRESENTANZA DEL TERRITORIO: a chi sostiene che l’elezione indiretta andrebbe contro uno dei pilastri della Carta costituzionale, come l’hanno voluta i padri costituenti, dai comitati del sì rispondono che non è vero. “Il Senato che hanno voluto i nostri costituenti doveva essere rappresentativo delle Regioni ed essere molto diverso dalla Camera per durata in carica e sistema elettorale. Ma poi, per una scelta delle maggioranze di governo, l’istituzione delle regioni venne ritardata di 22 anni e con una riforma costituzionale venne stabilita la perfetta parità delle due Camere“, si legge sul sito bastaunsi.it.
LE RAGIONI DEL NO
SENATORI 18ENNI: se la riforma costituzionale dovesse passare, il Senato potrebbe riempirsi di teenager che di mattina vanno a scuola e di pomeriggio fanno i compiti sui banchi di palazzo Madama, fra una votazione e l’altra. Si perché la riforma non mette limiti d’età ai consiglieri regionali e ai sindaci che saranno poi investiti della qualifica di senatori. In questo modo potremmo avere deputati 25enni, poiché per essere eletti alla Camera c’è un limite d’età, e senatori 19enni o 18enni. E’ piuttosto improbabile che un teenager possieda la maturità e le competenze per amministrare la cosa pubblica nel migliore dei modi.
MANCANZA DI TEMPO: chi sostiene il no ritiene che un amministratore locale non abbia abbastanza tempo per recarsi periodicamente a Roma per svolgere il suo ruolo di senatore. Parlando in modo concreto, il rischio paventato è quello che un bravo sindaco diventi un cattivo senatore, o che un bravo senatore diventi un cattivo sindaco.
ESPRESSIONE TERRITORIALE 1: continuiamo a elencare le ragioni del no parlando ora del metodo di elezione indiretta che non è previsto dalla Costituzione. Lasciando l’elezione diretta dei senatori si avrebbe dato “rappresentanza a tutto il territorio regionale e a tutti i comuni in esso compresi“, come si legge sul sito del comitato del No.
ESPRESSIONE TERRITORIALE 2: ci si scaglia anche contro la scelta di eleggere i nuovi senatori tra i consiglieri regionali, “espressione di un territorio limitato e infraregionale, cui rimane legato per la sua carriera politica“.
NUMERI INIQUI: il numero dei senatori non sarebbe sufficiente a garantire la stessa rappresentata per tutti i territori, con il rischio che alcune zone non avranno voce in capitolo.
RISPARMIO TRASCURABILE: per quanto riguarda i costi, il no insiste su un risparmio di poco conto perché la “gran parte dei costi viene non dalle indennità, ma dalla gestione degli immobili, dai servizi, dal personale“, costi che rimarrebbero per permettere il doppio ruolo di consiglieri e senatori.
IMMUNITA’: riguardo l’immunità, garantita per le attività da senatore, il no parla di un confine molto labile, per cui non si potrebbe capire cosa fa da consigliere e cosa a senatore, rischiando di bloccare indagini che richiederebbero l’autorizzazione del Senato. A questo si aggiunge il rischio, ventilato dal no, di dare l’immunità ai consiglieri regionali, categoria che si è resa protagonista delle peggiori ruberie di denaro pubblico: la stima fatta da l’Espresso indica nell’ultimo biennio oltre 520 consiglieri regionali finiti sotto indagine a vario titolo per illecito utilizzo di denaro destinato ad attività politica.
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