Il ddl Boschi introduce novità anche per quanto riguarda i tempi di approvazione delle leggi, frutto dell’addio al bicameralismo perfetto. Come abbiamo visto, la riforma dà pieni poteri legislativi alla Camera, lasciando al Senato il ruolo di rappresentanza degli enti locali: pur essendoci delle eccezioni, in cui è richiesto comunque il doppio voto, lo scopo principale del monocameralismo è ridurre i tempi delle procedure parlamentari, in modo da aumentare l’efficacia del lavoro di deputati e senatori. In particolare, non essendo più necessario il doppio voto, si vuole eliminare l’uso delle “navette parlamentari“, il rimpallo cioè da una Camera all’altra. A questo si aggiungono specifiche sui tempi per tutti i passaggi in Parlamento: entriamo nel dettaglio.
La riforma dà un nuovo ruolo al Senato che può intervenire nel processo legislativo sempre, richiamando le leggi e proponendo modifiche.
TEMPI BREVI PER IL SENATO: Il ddl specifica che, una volta approvata la legge, la Camera la invia al Senato che avrà dieci giorni di tempo per esaminarla. Se un terzo dei senatori lo chiede, l’assemblea di Palazzo Madama ha 30 giorni per fare richiesta di modifiche. I deputati, come abbiamo già detto, possono accoglierle (e quindi riesaminare il testo e rivoltarlo), oppure respingerle (entro 20 giorni): a quel punto la legge è approvata. Se il Senato non fa sapere di avere modifiche entro 10 giorni (o 15, a seconda delle materie) dal ricevimento del testo, la legge è automaticamente approvata, senza dover ripassare dalla Camera. Non ci sono limiti di tempo per la discussione e la votazione in prima lettura alla Camera.
I tempi sono allungati nel caso in cui il Presidente della Repubblica chieda una nuova votazione su un ddl di conversione di un decreto legge, dando altri 30 giorni per la conversione in legge. In pratica, quando il governo una un decreto legge è perché legifera su temi urgenti: il dl entra subito in vigore ma vale solo per 60 giorni. In quel periodo, il Parlamento deve trasformarlo in legge; se ciò non accade, il decreto cade. Con la riforma, la conversione in legge ha un limite di 90 giorni totali.
IL VOTO A DATA CERTA: La novità più importante in termini di tempi è il voto a data certa. La riforma modifica l’articolo 72 della Costituzione introducendo una “corsia preferenziale” per quei provvedimenti che l’esecutivo ritiene fondamentale per l’attuazione del programma di governo. In quel caso, il governo stesso chiede l’applicazione del “voto a data certa” che prevede la discussione del provvedimento e la votazione entro 5 giorni e la votazione entro 70, rinviabili di altri 15 in casi di materie complesse. Una volta approvato, il Senato avrà 10 giorni per chiedere di poter esaminare il ddl su richiesta di un terzo dei senatori, e 20 giorni (metà del tempo consentito per le altre leggi) per esaminarlo e chiedere modifiche che la Camera potrà respingere con un altro voto. Il termine massimo per l’approvazione definitiva è di 120 giorni, contro la media attuale di 150-200 giorni. Da questa modalità sono però escluse determinate leggi: quelle di competenza del Senato, le leggi in materia elettorale, la ratifica dei trattati internazionali, di amnistia e indulto e le leggi di bilancio.
LE RAGIONI DEL SI’
Il risparmio in fatto di tempi è il mantra di chi sostiene la riforma. Specificando i termini massimi dell’iter, dando a una sola Camera il pieno potere, con l’altra a vigilare e, nel caso, a chiedere modifiche, e tagliando i tempi, il ddl Boschi rende più efficace il lavoro dei deputati e dà più sicurezza anche per l’azione del governo che diventa più rapida e incisiva, ma con meno poteri. Le iniziative legislative parlamentari nell’ultima legislatura hanno impiegato in prima lettura una media 306 giorni alla Camera e 411 al Senato: con la riforma non succederà più.
Una delle critiche che vengono rivolte al voto a data certa è che rafforzerebbe il potere legislativo dell’esecutivo, dando maggiori poteri al premier. Il fronte del sì ribatte compatto che la riforma introduce limiti alla decretazione d’urgenza, togliendo al governo la possibilità di legiferare su alcuni temi, oggi permessi. In più, “serve ad evitare la fuga del governo dal Parlamento e a garantire che le decisioni normative più importanti siano prese all’interno di quest’ultimo“, a condizione di fare tutto in tempi brevi e certi.
LE RAGIONI DEL NO
Chi si oppone alla riforma punta il dito sul falso risparmio di tempo con il nuovo iter legislativo. Stando ai numeri raccolti dal comitato del no, tra il 2008 e il 2013 le leggi di iniziativa del governo “che assorbono in massima parte la produzione legislativa, sono arrivate alla approvazione definitiva mediamente in 116 giorni“, mentre “per le leggi di conversione dei decreti legge sono bastati 38 giorni, che scendono a 26 per la conversione dei decreti collegati alla manovra finanziaria“. Il Parlamento, con un bicameralismo perfetto, sarebbe più veloce di quanto si voglia credere.
Altro punto chiave è il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo con l’introduzione del voto a data certo, andando a restringere gli spazi per l’iniziativa legislativa parlamentare, già ridotti al 20 percento. Anche se la riforma introduce una limitazione nei temi su cui il governo può legiferare, il rischio è che nella votazione a data certa vadano a finire molti più temi del previsto grazie a “capziose interpretazioni estensive sia del concetto di “programma di governo”, sia del concetto di “attuazione del programma’”, i termini cioè per cui l’esecutivo può richiederlo. Il ddl Boschi creerebbe una sorta di “premierato assoluto”, grazie anche all’Italicum che “trasformerebbe il voto al partito del leader in un’investitura quasi-diretta del Premier“.
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