L’addio al bicameralismo perfetto, fulcro della riforma, porta a molti cambiamenti e all’introduzione di quelle che vengono definite “garanzie costituzionali“. Il ruolo paritario di Camera e Senato crea un sistema di contrappesi alla base della democraziaa ed evita derive assolutiste: maggioranza e opposizione hanno modi e luoghi di confronto anche serrato. Entrambe, seppur con peso diverso, hanno voce in capitolo nell’organizzazione della politica. Con le modifiche al ruolo e al sistema elettivo del Senato, c’è bisogno di trovare un nuovo equilibrio che metta al riparo da eventuali “colpi di maggioranza”. Non solo. Cambiando funzioni e ruolo dell’assemblea, sono necessarie modifiche ad atti parlamentari importanti, a iniziare dall’elezione del Presidente della Repubblica. La riforma prevede dunque nuovi contrappesi che vanno a equilibrare il potere della Camera e che regolano momenti e istituzioni alla base della repubblica: vediamoli.
La democrazia è un delicato esercizio di potere dove l’equilibrio è tutto e le garanzie devono essere reali, o il rischio di una deriva autoritaria rimane dietro l’angolo. Difficile che oggi si riproponga lo scenario che portò all’ascesa del fascismo, ma la necessità di equilibrare il dialogo tra maggioranza e opposizione e tra i poteri dello Stato rimane comunque urgente. La riforma inaugura la nuova fase del bicameralismo imperfetto con una serie di conseguenze dirette.
L’ELEZIONE DEL CAPO DELLO STATO: La prima è l’elezione del Presidente della Repubblica. Regolato dall’articolo 83 della Costituzione, il procedimento attuale prevede un’elezione a Camere riunite in seduta comune: senatori e deputati vengono chiamati a eleggere l’inquilino del Quirinale insieme ai delegati regionali. Essendo una figura di garanzia, il Capo dello Stato non deve essere espressione della sola maggioranza ed è per questo che è necessaria una maggioranza dei due terzi. Solo dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta.
Con la riforma, il Senato non è più elettivo ed è già Camera di rappresentanza degli enti locali. A eleggere il Presidente della Repubblica sono solo deputati e senatori, senza i delegati regionali (che sono in pratica i nuovi senatori). Mancando il contrappeso, la riforma aumenta il quorum per l’elezione: per i primi tre scrutini serve la maggioranza dei due terzi dei componenti, dal quarto scrutinio la maggioranza dei tre quinti dei componenti e dal settimo la maggioranza dei tre quinti dei votanti (non più degli aventi diritto). In questo modo è necessario un accordo molto più ampio tra le varie forze politiche visto.
LEGGI ELETTORALI ALLA CONSULTA: A equilibrare il potere della Camera di legiferare sulla legge elettorale, la riforma prevede che si possa ottenere il parere preventivo della Consulta se ne fa richiesta almeno un quarto dei deputati o un terzo dei senatori. Al momento, questi poteri spettano alla magistratura che possono sollevare questioni di legittimità davanti alla Corte Costituzionale: per l’Italicum sono stati i tribunali di Messina e Torino.
NUOVA ELEZIONE PER LA CONSULTA: Il ddl Boschi interviene anche nell’elezione dei giudici di nomina parlamentare che compongono la Corte Costituzionale. Saltando l’elezione in seduta comune, ogni ramo del Parlamento elegge i giudici in separata sede: 3 sono scelti dalla Camera e 2 dal Senato. Ricordiamo che la Consulta è composta da 15 giudici, 5 di nomina presidenziale, 5 dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative e 5 dal Parlamento. Questa distinzione rimane, cambia solo il metodo di elezione per quelli di nomina parlamentare.
LO STATO DI GUERRA: Modificato anche la metodologia per la dichiarazione dello stato di guerra, regolato dall’articolo 78 della Costituzione. Se oggi devono essere entrambe le Camere a dichiararlo, con la riforma lo farà solo la Camera dei deputati ma a maggioranza assoluta.
NUOVI REFERENDUM: A compensazione dei poteri, la riforma introduce il referendum propositivo e di indirizzo con cui i cittadini possono proporre una legge o un tema su cui lavorare: i dettagli vengono rimandati a una legge apposita. In generale cambia la partecipazione diretta nei referendum abrogativi: il quorum rimane ed è sempre del 50% più uno degli aventi diritto, ma se sono state raccolte 800mila firme si scende al 50% dei votanti delle ultime elezioni. Novità anche per le leggi di iniziativa popolare: sale il numero delle firme richieste dalle 50mila attuale alle 150mila della riforma, ma con la garanzia che le leggi verrano discusse e votate.
LE RAGIONI DEL SI’
I sostenitori del sì fanno notare che la riforma potenzia il sistema delle garanzie con il “rilancio degli istituti di democrazia diretta, con l’iniziativa popolare delle leggi e il referendum abrogativo rafforzati, con l’introduzione di quello propositivo“, si legge sul sito del sì.
L’elezione del Presidente della Repubblica viene resa più aperta alle varie forze politiche: anche con il dimezzamento dei senatori, a eleggere il Capo dello Stato sono comunque in 725. Contando che l’Italicum assegna alla forza di maggioranza 340 seggi e che la riforma alza il quorum, i sostenitori del sì insistono sul fatto che non c’è alcun pericolo di “deriva autoritaria” della maggioranza, visto che la maggioranza non avrebbe mai i numeri per eleggerlo da sola.
Le contrapposizioni sono ben garantite in quello che si definisce un sistema di poliarchia, ossia l’insieme di più istituti che vigilano sull’attuazione della democrazia (magistratura, Corte Costituzionale e un sistema giuridico europeo e internazionale che ha voce in capitolo).
LE RAGIONI DEL NO
Sulle garanzie costituzionali introdotte dalla riforma, il fronte del no ribatte punto su punto. L’elezione dei giudici della Corte Costituzionale (3 dalla Camera a fronte di 630 deputati, 2 dal Senato con 100 senatori) non rispetta il principio della proporzionalità e rischia di “introdurre una pericolosa logica corporativa” che potrebbe rovinare i rapporti tra i membri.
Per chi sostiene il no, l’accusa di una deriva autoritaria non è eccessiva, perché il peso politico della maggioranza alla Camera non viene controbilanciato dal nuovo Senato che non ha lo stesso potere sulle elezioni degli altri organi di controllo, come la Consulta.
La partecipazione diretta viene stroncata. Le firme per la presentazione di una legge di iniziativa popolare triplicano da 50 a 150mila; il referendum propositivo potrebbe anche essere un valido strumento, ma la sua attuazione viene lasciato alla Camera che può rigettare qualsiasi modifica al disegno originario. Infine, pur avendo abbassato il quorum di quello abrogativo, ha alzato le firme necessarie per la sua proposta a 800mila, numero, dicono dal no, “quasi impossibile da raggiungere in un tempo in cui i corpi intermedi – partiti, sindacati – sono indeboliti o sostanzialmente dissolti“. Senza contare che “non si capisce perché un referendum debba avere un quorum più alto se richiesto da 500.000 cittadini, e più basso se richiesto da 800.000“.