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Se vince il No al referendum costituzionale Matteo Renzi si dimette o no? Prima ha detto di sì, poi di no, infine ha fatto capire che non è cambiato niente rispetto a quanto detto all’inizio. Poi ha detto dell’altro. Dichiarazioni sibilline per confondere le acque. Insomma, chi ci ha capito qualcosa è bravo. Che il referendum sulla riforma costituzionale sarà il termometro per misurare il consenso verso il premier non ci sono dubbi. Ce ne sono, e tanti, sulle sorti del governo. Riepiloghiamo il Renzi-pensiero: dimissioni sì-dimissioni no.
“Se al referendum vince il NO mi dimetto”
In principio erano le dimissioni. Durante la conferenza stampa di fine anno, il 29 dicembre 2015, il premier fu chiaro: “Se perdo il referendum considero fallita la mia esperienza politica”.
Concetto ribadito a gennaio, più volte. Al Tg1: “Se sulla madre di queste battaglie, che è la riforma costituzionale, i cittadini non sono d’accordo, hanno tutto il diritto di dirlo ed io ho il dovere di prenderne atto. Non sono un politico vecchia maniera che resta attaccato alla poltrona: io penso che si faccia politica per seguire un ideale”. Al Senato durante il voto sulle riforme: “Ho personalmente affermato davanti alla stampa e lo ribadisco qui davanti alle senatrici e ai senatori che nel caso in cui perdessi il referendum, considererei conclusa la mia esperienza politica”. Renzi ha confermato le intenzioni più volte nel corso dei mesi successivi. Come a marzo, alla scuola di formazione del Pd: “Se perdiamo il referendum è doveroso trarne conseguenze, è sacrosanto non solo che il governo vada a casa ma che io consideri terminata la mia esperienza politica”.
Sulla stessa lunghezza d’onda il ministro Maria Elena Boschi, che con lui ha firmato la riforma costituzionale, in un’intervista alla trasmissione In mezz’ora a fine maggio: “Se il referendum dovesse andare male non continueremmo il nostro progetto politico. Anche io lascio se Renzi se ne va: ci assumiamo insieme la responsabilità. Abbiamo creduto e lavorato insieme ad uno stesso progetto politico”.
“Si vota nel 2018 comunque vada il referendum”
Poi il 21 agosto, con gli italiani sotto l’ombrellone, il cambio di rotta. Renzi è salito sul palco del Caffè della Versiliana dove ha affermato: “Si vota nel 2018 comunque vada il referendum”. Glissando, però, alle domande dirette sulle dimissioni. Una dichiarazione arrivata alla vigilia del vertice di Ventotene dove ha incontrato i leader di Francia e Germania François Hollande e Angela Merkel. Dichiarazione inevitabile per dare all’Europa l’immagine di un Paese forte e riformabile. Anche perché la fine del governo Renzi rappresenterebbe un altro duro colpo all’Unione che deve ancora digerire il Brexit.
Il 2 settembre Renzi, al Forum Ambrosetti a Cernobbio, ha spiegato: “Se vince il No non c’è una invasione di cavallette, non c’è una fine del mondo: rimane tutto com’è adesso”.
“Se al referendum vince il NO io resto”
L’ultima puntata (per ora) è datata 6 settembre. Renzi, ammettendo che “la riforma poteva essere scritta meglio”, ha rimescolato ancora le carte in tavola: “Se perdo il referendum me ne vado? Non ci ho ripensato. Il punto è che dal giorno dopo in cui ho detto che me ne sarei andato se avesse vinto il no, tutti dicevano che volevo personalizzare il referendum e che volevo fare un plebiscito. Così non ne parlo più. Questo referendum non riguarda una singola persona, ma la riduzione delle poltrone”.
Renzi si dimette o non si dimette?
Insomma, in caso di sconfitta al referendum Renzi si dimetterà o no? La sensazione è che farà fede la dichiarazione sibillina di agosto: “Si vota nel 2018 comunque vada il referendum”. Potrebbe infatti salire al Quirinale e poi chiedere (convinto di ottenerla) la fiducia alle camere. O rimanere a capo di un nuovo governo “di scopo” o di “unità nazionale”. Sono solo ipotesi. Chi vivrà vedrà.
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