Sale la tensione sul referendum sull’indipendenza della Catalogna in Spagna previsto per domenica 1 ottobre. Il governo catalano ha infatti confermato che il referendum si farà: parlando alla stampa, il portavoce dell’esecutivo catalano Jordi Turull, ha mostrato le urne di plastica, che saranno usate per il voto, e ha confermato l’intenzione di andare avanti. Da Madrid è arrivata immediata la risposta del governo centrale per bloccare il referendum, definito una “grave slealtà istituzionale”, con tanto di invio di 10mila agenti di polizia nei vari distretti della Catalogna. La tensione è ormai alle stelle: da giorni le strade di Barcellona sono piene di manifestanti che inneggiano all’indipendenza e che chiedono di poter votare. In ogni caso, la giornata di domenica 1 ottobre si preannuncia a rischio scontri: sopra Barcellona ci sarà lo stop del traffico aereo.
L’atmosfera in Spagna si fa sempre più calda. Il premier Mariano Rajoy non è andata al vertice UE di Tallin preferendo rimanere in patria per seguire da vicino l’evoluzione del referendum in Catalogna. Nel frattempo, a Barcellona le strade sono sempre piene di gente a sostegno dell’indipendenza, dai giovani fino agli agricoltori che nella giornata di venerdì 29 settembre hanno invaso le strade della città con i trattori.
Il referendum per l’indipendenza in Catalogna si farà
A 48 ore dalla data prevista per il voto, il governo catalano ha sciolto le riserve e presentato alla stampa le modalità con cui domenica 1 ottobre si svolgerà il referendum per l’indipendenza. Parlando ai cronisti, Turull ha mostrato le urne che saranno usate per il voto e ha dato i numeri della giornata: 2.315 collegi elettorali in tutta la Catalogna, di cui 207 solo a Barcellona, 6.299 seggi, con oltre 5,3 milioni di catalani chiamati alle urne e 7.235 persone impiegate per il corretto svolgimento delle votazioni.
Come riporta gran parte della stampa iberica, sono mancati molti altri dettagli pratici sull’organizzazione del referendum: uno su tutti quello relativo alla Sindacatura Electoral, organo indipendente della Catalogna incaricato di vigilare sul corretto andamento di ogni votazione. La Corte Suprema spagnola ha infatti imposto una multa di 12mila euro per i membri della Sindacatura che dovessero prendere parte al voto di domenica, di fatto impedendo la sua convocazione. Inoltre, filtrano notizie di rischi per i membri dei seggi che potrebbero arrivare a pagare multe di oltre 600mila euro. A oggi non si sa chi seguirà le operazioni di voto, ma dai palazzi della Generalitat si dicono certi che il voto si farà.
Referendum in Catalogna, no di Madrid
Ancora una volta, lo scontro col governo centrale di Madrid è ai massimi livelli. Íñigo Méndez de Vigo, portavoce del governo centrale, ha dichiarato che “i responsabili di questa situazione ne risponderanno in Tribunale”. Per Madrid, il presidente de la Generalitat, Carles Puigdemont, il vicepresidente Oriol Junqueras, e tutti i membri del governo catalano sono “responsabili” di una situazione che “produrrà danni” e che altro non è che una “reiterata disobbedienza e una grave slealtà”.
A impedire il voto non ci sono solo le multe e le parole della politica: il governo centrale ha predisposto l’invio di 10mila agenti di Polizia in tutta la Catalogna.
Referendum in Catalogna, i rischi di uno scontro
[didascalia fornitore=”ansa”]Le proteste per le strade di Barcellona[/didascalia]
La tensione è ormai alle stelle. Barcellona e Madrid aspettano l’una le mosse dell’altra per capire come agire. il governo de la Generalitat, per voce del suo presidente Puigdemont ribadisce la legittimità del voto, mentre dal palazzo della Moncloa si tuona contro l’illegalità di una consultazione che non rientrerebbe nei canoni costituzionali. Il rischio di scontri, anche fisici, per le strade di Barcellona e della Catalogna ormai non è da escludere.
Le prime avvisaglie si sono registrate lo scorso 21 settembre all’indomani dell’irruzione della Guardia Civil a Barcellona nei palazzi della Generalitat. Nella notte centinaia di manifestanti sono scesi per la strada, in particolare sulla Rambla Catalunya y Gran Vía dove si trova il dipartimento di Economia del governo catalano, per protestare contro gli arresti di 14 persone nel corso delle perquisizioni del giorno precedente. La polizia ha fatto qualche carica e si sono avuti lievi feriti, ma la situazione è rientrata nel corso della notte.
Mariano Rajoy è stato chiaro fin dall’inizio: dal palazzo della Moncloa, nell’orario di massimo audience, ha lanciato un appello televisivo al presidente catalano Carles Puigdemont perché fermi il referendum, ricordando che il governo centrale userà “tutti gli strumenti” per “riportare lo stato di diritto” e impedire il voto.
“Il progetto di indipendenza della Catalogna non ha alcun futuro”, ha ripetuto il premier iberico che chiede al governo catalano di “abbandonare i suoi propositi” ed “evitare mali maggiori”, definendo una “chimera” il progetto indipendentista.
Nel frattempo, secondo quanto riporta El Mundo, il ministero dell’Interno starebbe pensando all’invio di 3mila effettivi della Guardia Civil e della Policía Nacional in Catalogna per evitare che il 1° ottobre si tenga il referendum. Secondo il quotidiano, la decisione sarebbe stata presa per via della passività dei Mossos d’Esquadra, la polizia catalana, di fronte all’ordine del procuratore generale di fermare le iniziative legate al voto.
[didascalia fornitore=”ansa”]Le proteste davanti agli uffici della Generalitat a Barcellona[/didascalia]
Nella mattinata di mercoledì 20 settembre la Guardia Civil ha fatto irruzione negli uffici del dipartimento dell’Economia e ha fermato 14 persone: tra loro ci sono Josep Maria Jové, braccio destro del vicepresidente del governo catalano Oriol Junqueras, nonché segretario generale del dipartimento dell’Economia, il direttore del dipartimento di attenzione ai cittadini del governo Jordi Graell e il presidente del Centro delle telecomunicazioni Jordi Puignero.
La Polizia ha perquisito gli uffici su mandato del tribunale che ha dichiarato illegale il referendum del prossimo 1° ottobre, alla ricerca di elementi che provino l’organizzazione da parte delle autorità catalane: a fine perquisizioni sono state trovate 10 milioni di schede elettorali.
Da subito, centinaia di persone sono scese in piazza a protestare, mentre la sindaca di Barcellona, Ada Colau, ha parlato di “scandalo democratico“. Il premier spagnolo Mariano Rajoy ha dichiarato che il blitz è stato fatto perché “si rispetti la legge“, mentre il presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, ha convocato una riunione di emergenza del governo.
[didascalia fornitore=”ansa”]Carles Puigdemont[/didascalia]
La tensione è ai massimi livelli. Junqueras, tra i più fervidi sostenitori dell’autonomia della Catalogna, ha condannato gli arresti dal suo profilo Twitter, parlando di un “attacco alle istituzioni e ai cittadini” catalani, e rincarando la dose con la stampa. “Queste sono cose che non succedono in nessuna democrazia occidentale. Ci sono arresti in strada senza mandati d’arresto“, ha ricordato.
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[didascalia fornitore=”ansa”]La folla contro la Guardia Civil[/didascalia]
Il blitz ha portato al fermo di 14 persone che lavorano nel dipartimento dell’Economia e al sequestro di alcuni registri, nonché al ritrovamento di 10 milioni di schede elettorali: il governo centrale sospettava che le autorità catalane stessero organizzando il referendum sull’indipendenza della Catalogna nonostante ci sia una sentenza che lo ha bloccato.
Il premier spagnolo Rajoy ha difeso l’intervento della polizia nazionale negli uffici della Generalitat e anzi ha chiesto a Puigdemont di “fare un passo indietro” e di “rispettare la legge” perché il “progetto indipendentista non porterà alcun beneficio”. Il blitz è avvenuto mentre era in corso una sessione del Parlamento e i deputati del PDeCAT hanno lasciato i banchi per protesta, seguiti dai colleghi di ERC (Sinistra Repubblicana di Catalogna, il partito di Junqueras), Podem y Demòcrates e altre forze di sinistra. Il deputato di ERC Gabriel Rufián è intervenuto in Aula e ha detto a Rajoy di “togliere le sue sudicie mani dalla Catalogna”.
Il premier è andato dritto per la sua strada. “Non c’è alcun stato democratico al mondo che accetti quello che stanno organizzando queste persone: erano stati avvisati e sapevano che il referendum non si potrà fare perché riguarda la sovranità nazionale e il diritto di tutti gli spagnoli a decidere ciò che vogliono per il loro paese”, ha dichiarato.
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A eseguire le perquisizioni e gli arresti è stata la Guardia Civil, cioè la polizia militare nazionale. I cori registrati dai cronisti della folla sono abbastanza chiari e indicano la polizia come “forze di occupazione”. Per le strade ci sono anche i Mossos d’Esquadra, la polizia catalana, che però si stanno tenendo a distanza e non sono intervenuti se non a proteggere le macchine dei rappresentati del governo catalano riunitosi in emergenza.
Questo perché tra le due polizie c’è molta tensione . Già in occasione dell’attentato sulle Ramblas dello scorso 17 agosto, erano venuti a galla ritardi e accuse reciproche.
La tensione è salita quando il procuratore generale José Manuel Maza aveva annunciato la settimana prima indagini su 712 sindaci di altrettante città catalane che starebbero organizzando il referendum e ha chiesto ai Mossos d’Esquadra di procedere alle perquisizioni e di fermare in ogni modo lo svolgersi del voto. Il procuratore ha ricordato che i reati di disobbedienza civile sono puniti con pene che possono arrivare fino a otto anni di carcere. Finora, nonostante la pubblicazione della lista dei comuni, i Mossos d’Esquadra non si sono mossi: da qui la scelta del governo centrale di inviare uomini della Guardia Civil e della Policía Nacional anticipata da El Mundo.
Referendum in Catalogna, la sindaca di Barcellona e la disobbedienza civile
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Il procuratore Maza ha ricordato le pene per la disobbedienza civile perché la sindaca di Barcellona, Ada Colau, ne ha fatto un’arma durante il suo attivismo politico e perché è stata lei stessa ad annunciare di aver raggiunto un accordo col presidente Puigdemont perché il 1° di ottobre si possa votare a Barcellona per il referendum “senza mettere a rischio le istituzioni e i servitori pubblici“.
I dettagli dell’accordo non sono stati ancora resi noti, anche perché la condizione che aveva posto la sindaca, come ricorda la stampa spagnola, è che il referendum sia organizzato legalmente. “Io vorrei votare, anche se credo che non sia il referendum ciò di cui la Catalogna ha bisogno“, ha aggiunto in un’intervista alla radio RAC1.
Come avevamo già spiegato tempo fa, i motivi per cui la Catalogna vuole l’indipendenza sono tanti e mischiano l’autodeterminazione con l’economia.
Gli indipendentisti sostengono che la Catalogna abbia una sua identità culturale e linguistica e che questo basterebbe a essere una nazione a sé stante. Quello che più conta però è l’autonomia economica: si tratta infatti della regione più ricca della Spagna che vuole avere la totale indipendenza nella gestione delle risorse economiche.
Già bocciato nel 2014, il referendum è stato riproposto nel 2017 dal governo catalano di Puigdemont sostenuto da forze indipendentiste, ma si è trovato di nuovo il no del governo centrale: una sentenza della Corte Costituzionale ha sospeso la legge che ha indetto il voto su ricorso di Madrid e ora si dovrà valutare la legittimità del referendum di fronte alla Costituzione che indica la Spagna come “una e indivisibile”.
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