I politici, che strana specie: a parole sono tutti bravi, ma quando si passa ai fatti non se ne trova uno buono. Prendiamo la questione dei tagli agli sprechi per la macchina statale, tema quanto mai attuale visto il prossimo calendario elettorale. In sei mesi gli italiani saranno chiamati a votare tre volte, al referendum del 17 aprile sulle trivelle, alle elezioni amministrative del 5 giugno e al referendum sulle riforme costituzionali a metà ottobre. Tre diversi appuntamenti elettorali che triplicano i costi. La domanda sorge spontanea: non si poteva accorpare tutto in un’unica votazione e risparmiare così milioni di euro?
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Partiamo dai numeri. Al momento non ci sono dati ufficiali sui costi dei tre appuntamenti, ma possiamo fare una stima basandoci su quanto dichiarato dal ministero degli Interni al momento delle elezioni politiche 2013. In quell’occasione, il Viminale diffuse numeri e cifre tra le più disparate a due giorni dal voto (quando cioè i soldi erano già stati spesi o messi a budget): l’elezione di tre anni fa costò allo Stato circa 390 milioni di euro.
I calcoli sono indicativi: nel 2013 tre Regioni (Lazio, Lombardia e Molise) votavano anche per le Regionali, cosa che comportò un aumento di spesa: i presidenti di seggio di quelle regioni ricevettero 224 euro al posto dei 187 euro per le sole politiche) e si stamparono 133 milioni di schede (tra Camera, Senato e Regionali). Per il resto, le voci di spesa sono più o meno le stesse per un referendum, visto che si vota in tutto il Paese. Si devono pagare i seggi, la loro creazione, la cancelleria e il personale (presidente e scrutatori), oltre alle forze di sicurezza per l’ordine pubblico.
Associazioni ambientaliste e oppositori politici si sono scagliati contro il governo Renzi dopo la scelta di non accorpare elezioni amministrative e referendum abrogativo. Wwf, Greenpeace, Lega Ambiente ma anche M5S e Lega Nord, hanno accusato l’esecutivo di buttare via soldi pubblici, con uno spreco che oscilla (a seconda delle stime) tra i 300 e i 400 milioni di euro. Facciamo una media e abbiamo la stima del costo di un referendum: circa 350 milioni di euro.
Tenendo presente che in sei mesi ce ne saranno due, lo Stato (cioè tutti noi), potrebbe spendere circa 700 milioni di euro. A questi si aggiungono i costi delle elezioni amministrative che saranno minori, visto che il 5 giugno andranno al voto 1.327 Comuni su 8.045. Stiamo larghi e stimiamo una spesa di 100 milioni.
Si poteva risparmiare? Sì. Bastava accorpare referendum sulle trivelle e amministrative in un unico giorno, il cosiddetto election day per dirla all’inglese.
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Interrogato alla Camera, il ministro Angelino Alfano ha spiegato che non era possibile farlo perché, per legge, non si può unificare referendum abrogativo e amministrative anche per questione tecniche (citò il fatto che per le elezioni servono 4 persone per seggio e per i referendum 3). C’è però un precedente. Nel 2009, l’allora governo Berlusconi IV accorpò i referendum abrogativi ai ballottaggi delle amministrative, varando una legge apposta (n. 40 aprile 2009).
Si poteva fare una legge anche per il referendum sulle trivelle? Sì, ma non si è voluto farlo perché, mentre le opposizioni (cioè SEL) presentavano la legge, dal governo era già arrivata la calendarizzazione del voto al 17 aprile.
Perché? Per non superare il quorum, dicono le opposizioni. Il trucchetto è vecchio e usato già da diversi governi (lo fece sempre il governo Berlusconi nel 2011). Il fatto che il governo predichi l’astensione (cosa che ha fatto drizzare i capelli anche al Presidente della Corte Costituzionale), la dice lunga.
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