Tra Italia ed Egitto gli interessi economici in ballo sono tanti. La presenza di centinaia di imprese italiane nello Stato nordafricano, le importazioni e le esportazioni, i grossi investimenti energetici come quelli di Eni, fanno girare miliardi e miliardi. Troppi per interrompere o minare seriamente i rapporti politici. E così la vicenda di Giulio Regeni, al di là delle dichiarazioni più o meno di facciata delle autorità italiane che pretendono la verità sull’omicidio, rischia di essere schiacciata dalle logiche del denaro. Di rimanere un contorno fastidioso ma tollerabile dell’alleanza geopolitica.
I rapporti economici tra le due nazioni sono solidi. “Il processo di stabilizzazione politica, che ha visto nell’elezione del presidente Abdel Fattah al Sisi il suo momento culminante, si sta riverberando positivamente sull’economia dell’Egitto. Il lancio di importanti mega progetti in terra egiziana presenta nuove interessanti opportunità per le nostre imprese”. Lo ha scritto l’Italian trade agency, l’ente italiano per il commercio con l’estero, in un rapporto nel gennaio 2016. Era il periodo in cui lo studente italiano Giulio Regeni scompariva al Cairo, prima che il suo cadavere venisse ritrovato con evidenti segni di tortura che hanno gettato ombre sui servizi segreti del governo egiziano.
“L’Egitto è un’area straordinaria di opportunità. Abbiamo fiducia nella sua leadership, nelle sue riforme macroeconomiche, in favore della prosperità e della stabilità”: queste erano state le parole del presidente del consiglio Matteo Renzi, pronunciate nel marzo 2015 a Sharm el Sheikh, durante la conferenza sullo sviluppo economico egiziano. Renzi, unico leader europeo presente, era stato anche il primo a ricevere il generale al Sisi in Italia dopo la sua presa del potere nel luglio 2013. Dopo la vicenda Regeni, Renzi ha alzato la voce con l’Egitto: “Ci fermeremo solo davanti alla verità vera”, ha tuonato il 30 marzo 2016 da Chicago. Altrimenti, cosa succede? Quali possono essere gli scenari? Partiamo innanzitutto dall’analisi dei rapporti commerciali tra Italia ed Egitto.
Gli affari miliardari di Eni
A incontrare spesso il poco democratico presidente egiziano Al-Sisi è l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi. L’Ente italiano per gli idrocarburi è infatti l’azienda italiana più attiva in Egitto. È presente in Egitto con investimenti da 14 miliardi di dollari con l’estrazione di gas dai giacimenti di Nooros, sul delta del Nilo. Ma l’affare ben più grosso arriverà dal giacimento sottomarino di Zhor, dove si stimano 850 miliardi di metri cubi di gas.
La scoperta del nuovo giacimento, all’interno dell’offshore egiziano sito in una zona di concessione Eni, è stata fatta nell’estate 2015. “Zohr rappresenta la più grande scoperta di gas mai effettuata in Egitto e nel Mar Mediterraneo. Eni svolgerà nell’immediato le attività di delineazione del giacimento per assicurare lo sviluppo accelerato della scoperta che sfrutti al meglio le infrastrutture già esistenti, a mare e a terra”, aveva scritto l’azienda in una nota. Le perforazioni sono cominciate nel gennaio 2016 (Giulio Regeni è scomparso il 25 gennaio), ma la produzione comincerà tra il 2018 e il 2019. Il picco è atteso nel 2024. Gli 850 miliardi di metri cubi di gas sono sufficienti a stravolgere lo scenario energetico del paese. Insomma, un mare di miliardi sono in ballo con questo enorme hub mediterraneo per l’estrazione, la lavorazione e l’esportazione di gas, che porterà alla costruzione di infrastrutture, porti e gasdotti.
Oltre cento le aziende italiane in Egitto
Circa 130 aziende italiane operano in Egitto in vari settori come idrocarburi, costruzioni, energia, tessile, meccanica e finanziario. Ci sono Edison (con investimenti per due miliardi) e Banca Intesa San Paolo (che dal 2006 possiede Bank of Alexandria per 1,6 miliardi di dollari). E ancora, tra le altre, Italcementi, Pirelli, Tecnimont, Cementir Italgen, Danieli Techint, Gruppo Caltagirone fino alle aziende turistiche come Alpitour e Valtour.
Scambi commerciali per oltre 5 miliardi
Gli scambi commerciali tra Italia ed Egitto, secondo l’Istat, valgono oltre 5 miliardi di euro. Un interscambio in crescita del 9,9 per cento nel 2014 rispetto al 2013. E nel futuro gli affari potrebbero aumentare. L’Egitto fa sempre più gola per i grandi progetti di infrastrutture promessi o già in fase di realizzazione dal governo, come il raddoppio del canale di Suez. Il governo egiziano vuole investire nei prossimi anni cento miliardi di dollari, e tutti Paesi, compresa l’Italia, vogliono partecipare al banchetto.
Facile capire come la tortura di Regeni, ad opera con ogni probabilità del governo egiziano, con tutti questi soldi in ballo non potrà rovinare i rapporti tra i due Paesi. Certo, una piccola crisi diplomatica è inevitabile. Le dichiarazioni di Renzi e del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che chiedono giustizia e verità, sono sincere. Ma l’Italia non può permettersi di perdere un partner commerciale così importante. E nemmeno l’Egitto (paese di 90 milioni di abitanti, con il 27% dei ragazzi fra i 18 e i 29 anni disoccupati e il 51,2% della popolazione sotto la soglia di povertà), che vede l’Italia come il principale sbocco economico in UE. L’Italia è il primo esportatore europeo in Egitto: tre miliardi di euro nel 2015, 3.1 previsti per il 2016.
Gli scenari possibili
Quali sono gli scenari possibili? Secondo l’agenzia egiziana Cairo Portal, il governo egiziano si trova in grande difficoltà e ci sarebbe una frattura interna: “Una parte riconducibile al Ministero degli Esteri punta sulla necessità di risolvere la questione in modo trasparente, anche se questo implicherà il riconoscimento delle responsabilità del governo stesso e il sacrificio di qualche testa per evitare ingenti perdite economiche e politiche. L’altra parte invece ritiene necessario tenere duro fino all’ultimo momento, cercare di guadagnare tempo affinché entrino in gioco gli interessi economici e coprano l’accaduto”.
Difficile pensare che l’Egitto continui a oltranza a negare il coinvolgimento dei suoi servizi segreti nell’omicidio. Più probabile che arrivi ad ammettere la colpevolezza della polizia, riducendola a caso isolato. In questo modo darebbe un “contentino” all’Italia per poi procedere con i propri rapporti economici in tutta tranquillità. La cosa che conta di più per i due Paesi. E pazienza se un ragazzo è stato ucciso da un alleato per cui torture e sparizioni sono la prassi.