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Regolarizzazione immigrati per l’agricoltura, è polemica

In queste ore una nuova proposta governativa sta infuocando le aule parlamentari: la ministra renziana dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, ha richiesto al governo l’attuazione di permessi di soggiorno temporanei per lavoratori agricoli e badanti irregolari già nel nel decreto di maggio, il decreto Cura Italia bis, in modo da regolarizzare tali posizioni.

La ministra Bellanova, formatasi nelle organizzazioni sindacali dei braccianti impegnate contro la piaga del caporalato, è ferma nella sua posizione tanto da minacciare, in caso negativo, una crisi di governo, forte anche dell’appoggio dei ministri dem ma anche della ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese e della ministra del Lavoro, la grillina Nunzia Catalfo.

Al momento la proposta ha registrato un solido asse tra PD, Italia viva, Leu e +Europa. Più fredde e isolate la adesioni all’interno dei 5 stelle. Una chiusura è arrivata ad esempio dal reggente del M5S Vito Crimi che ha sollevato dubbi sullequazione “regolarizzazione – emersione di lavoro nero”.

Più netta, invece, la posizione contraria delle opposizioni. Il leader della Lega, Matteo Salvini, approfittando della polemica in seno alla maggioranza, ha ribadito il suo no a una “maxisanatoria sugli irregolari” rilanciando la proposta leghista di reintroduzione di voucher per dare lavoro, per il tempo necessario, a disoccupati, studenti e pensionati italiani. Sulla stessa linea Forza Italia e Fratelli d’Italia che hanno chiesto anche la possibilità di impiegare nei campi, come braccianti, i percettori di reddito di cittadinanza.

Se le proposte di questi ultimi trovano giustamente una platea potenziale di centinaia di migliaia di persone che ricevono dallo Stato un assegno mensile in attesa di lavoro, più difficile può apparire la via attuativa a causa dei vincoli imposti dalla normativa vigente per il reddito di cittadinanza. La proposta di reintroduzione momentanea dei voucher e di aiuti per il settore che vive una drammatica carenza di manodopera è stata però accolta molto positivamente dal presidente di confagricoltura Massimiliano Giansanti.

L’appello della ministra Bellanova è stato invece condiviso da un folto numero di economisti, giuristi e virologi, oltre ad ampi settori del mondo cattolico (dal giornale L’avvenire, organo d’informazione della conferenza episcopale italiana, a noti esponenti del clero fino alla Caritas e alla Comunità di Sant’Egidio). Inoltre significativo è l’endorsement del Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, che ha dichiarato alle agenzie stampa: “In una situazione come l’attuale in cui nei campi non c’è chi vi lavora, avere l’opportunità di utilizzare una forza lavoro regolare sarebbe un duro colpo al mercato del lavoro sostenuto e controllato dalle mafie“.

Il problema di fondo è che se può risultare difficile credere che la regolarizzazione sani tout court il lavoro nero, altrettanto complicato è immaginare pensionati o giovani studenti chini a lavorare ore e ore sotto il sole cocente per pochi spiccioli. Per questo in tutta Europa si stanno cercando diverse soluzioni.

Situazione in Italia e nel resto d’Europa

Il primo paese europeo ad adottare la linea della Bellanova è stato il Portogallo, che ha deciso di concedere a immigrati e richiedenti asilo, con permesso di soggiorno pendente, gli stessi diritti dei residenti, fino all’1 luglio, per assicurare assistenza sanitaria e servizi pubblici alle fasce fragili della popolazione in tempi di pandemia.

Diversa è la situazione nel Regno Unito, dove le restrizioni normative imposte dalla Brexit, oltre a quelle negli spostamenti dovuti all’emergenza coronavirus, hanno portato alla carenza di lavoratori agricoli dall’Europa dell’Est, mettendo in crisi la raccolta delle colture locali destinate a marcire nei campi. Se la soluzione pensata era l’utilizzo di lavoratori autoctoni, lo scontro con la realtà è stato disarmante: come raccontano gli stessi imprenditori agricoli britannici, i cittadini del Regno Unito ben si sono guardati dal rimboccarsi le maniche per un lavoro massacrante e e malpagato.

Stesso scenario si sta proponendo in tanti paesi europei come Spagna, Italia, Germania e Francia. E proprio da quest’ultimo paese si è pensato ad una possibile soluzione: le associazioni professionali della filiera agricola hanno lanciato un sito web dove chiunque può candidarsi per lavorare nelle aziende agricole che hanno bisogno di manodopera. Un modo semplice e veloce per far incontrare domanda e offerta.

L’idea è stata ripresa in questi giorni in Italia dalla Coldiretti con il sito Jobincountry, una banca dati autorizzata dal Ministero del Lavoro che si pone come piattaforma di intermediazione tra imprese e lavoratori. La fase sperimentale realizzata in Veneto ha mostrato un buon successo, come nel caso d’Oltralpe, ma i numeri registrati purtroppo sono ben lontani da quelle che sono le reali esigenze del settore.
In effetti, i lavoratori stranieri del settore agricolo nel nostro paese rappresentano poco meno del 30% del totale del lavoro necessario nelle campagne italiane. E stiamo parlando solo dei lavoratori regolari. Questo dato fa riflettere se si considera che la filiera allargata dell’agricoltura made in Italy vale oltre 538 miliardi.

In questo momento particolare quindi l’agricoltura ha bisogno di braccia, per questo dalle associazioni di settore è stata ben accolta la proposta di regolarizzare chi già ci lavora anche per non lasciarli nelle mani della criminalità organizzata. Confagricoltura, ad esempio, ha stimato che nelle prossime ore serviranno circa 200 mila lavoratori per non far marcire i pomodori e la frutta nei campi. La richiesta del settore è semplice: agricoltori, allevatori, pescatori, viticoltori e vivaisti devono essere messi nelle condizioni di poter trovare manodopera in modo semplice, veloce e possibilmente legale.

Possibili soluzioni e conseguenze

Nel corso degli ultimi 30 anni molte, forse troppe, sono state le sanatorie atte a regolare d’urgenza il problema immigrazione: la legge Foschi del 1986 fece emergere dall’irregolarità 116mila persone, nel 1990 la legge Martelli ne regolarizzò 215mila, 5 anni dopo il governo Dini sanò altri 244mila stranieri e tre anni più tardi la legge Turco-Napolitano altri 217mila immigrati. Nel 2002 la legge Bossi-Fini, votata dagli stessi partiti oggi contrari alla regolarizzazione, sanò la posizione di 634mila immigrati irregolari. Ma ogni volta, questi interventi in deroga posero vincoli e rigidità che rendevano sempre più difficile il percorso per arrivare e restare in Italia in modo legale. Quindi chi rimaneva fuori dalle sanatorie, continuava a lavorare e a vivere nell’ombra dell’irregolarità.

Ora l’emergenza coronavirus ci dona l’occasione per risanare l’intero sistema, mandandolo a regime in modo da non derogare mai più.
Al bando di facili buonismi, riportare la legalità nel settore produttivo, attraverso un serio progetto di riforma fatto di politiche per l’immigrazione e l’integrazione sociale, può significare fare il bene dell’Italia.
L’emersione di migliaia di lavoratori nel settore produttivo può riparare anche al danno erariale enorme posto dal lavoro nero e quindi garantire anche più soldi ad ospedali, scuole ed assistenza.

Il beneficio per le casse dello stato

La Cia-Agricoltori Italiani ha previsto che l’intervento porterebbe nelle casse dello Stato entrate per 1,2 miliardi di euro. Il Sole 24 Ore nel suo ultimo report ha stimato che il contributo all’economia dei lavoratori immigrati si traduce in quasi 11 miliardi di contributi previdenziali pagati ogni anno, in 7 miliardi di Irpef versata, oltre alle entrate indirette (di contro, la spesa pubblica italiana destinata agli immigrati è pari a circa 15 miliardi). Quando si pensa a facili (e spesso irrealizzabili) soluzioni come i maxi rimpatri degli irregolari, ci si scontra, oltre che con le difficoltà oggettive di queste proposte dovute alla mancanza di accordi con i paesi destinatari, anche con le ragioni del conto economico nazionale che vedrebbe materializzarsi un buco enorme nelle finanze del Bel Paese.

Garantire diritti ai lavoratori e soprattutto il diritto al lavoro a migliaia di persone oggi impiegate nell’ombra dello schiavismo dei campi italiani è una battaglia etica e morale imprescindibile. Uno Stato che vede questi principi ribaditi nei primi articoli della sua Costituzione, spesso incensata, anche dai detrattori delle regolarizzazioni, come la migliore del mondo.

Redazione

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