Il rene policistico è una malattia di cui si parla ancora troppo poco, ma che ha un impatto difficile sulla vita quotidiana dei pazienti e dei loro familiari, influendo anche su scelte psicologicamente rilevanti come quella di avere figli. “Per questo motivo – dichiara Luisa Sternfeld Pavia, presidente dell’Associazione italiana rene policistico onlus, Airp onlus – come Airp, siamo da sempre impegnati a dar vita a iniziative capaci di squarciare il velo di silenzio che ricopre ancora la malattia, lavorando a fianco del mondo scientifico e delle Istituzioni per trovare soluzioni capaci di dare speranza ai nostri pazienti”.
Ma come vivono coloro che sono affetti da rene policistico? Possiamo avere un quadro generale di chi soffre di questa malattia genetica con la quale convivono 24mila italiani, prendendo in esame i dati emersi dall’indagine condotta da GfK su 247 malati italiani. Un’indagine presentata in anteprima e che verrà discussa al 58° Congresso nazionale della Società italiana di nefrologia, che si terrà a Rimini dal 4 al 7 ottobre.
Secondo l’indagine il 66% dei malati vive con preoccupazione, paura (42%) e ansia (30%), il fatto di essere ammalati, soprattutto perché più di 4 pazienti su 5 hanno paura di ‘trasmettere’ il rene policistico ai propri figli e in oltre il 50% dei casi il desiderio di maternità o paternità risulta compromesso. Il 30% lamenta un ridimensionamento lavorativo e più di 1 su 3 è rassegnato a non poter vivere una vita normale.
Il 6% dei pazienti italiani con rene policistico è attualmente in dialisi, di questi il 9% si è sottoposto a un trapianto di rene dopo un’attesa di quasi due anni. A essere investito dalle conseguenze negative della malattia è anche il lavoro: il 30% dei pazienti dichiara che il rene policistico ha influito negativamente sulla propria professione, un impatto che si è tradotto in un mancato avanzamento di carriera (nel 40% dei casi) o nella scelta di lavorare part time (30%).
Giuseppe Vanacore, presidente dell’Associazione nazionale emodializzati dialisi e trapianto (Aned), commenta così i dati: “Quando le persone ricevono la notizia di doversi sottoporre a dialisi sono spiazzate e impaurite. Dopo lo smarrimento iniziale, i nostri pazienti dimostrano però un grande coraggio nell’affrontare il percorso terapeutico, grazie anche alle relazioni positive che si instaurano con i medici e gli infermieri. Per questo motivo – commenta – come associazione siamo impegnati nel promuovere momenti di incontro tra i pazienti, familiari e operatori sanitari così da mettere a disposizione occasioni di confronto, per accrescere la consapevolezza della malattia e la partecipazione al percorso terapeutico”.
E sull’argomento è intervenuto anche Francesco Scolari, professore di Nefrologia all’ospedale di Montichiari (Università di Brescia), spiegando che: “In passato, i trattamenti per il rene policistico si sono concentrati sul controllo dei sintomi, come ad esempio l’elevata pressione arteriosa o le infezioni renali, e non intervenivano sul naturale decorso della malattia. Ora con i nuovi farmaci come tolvaptan siamo di fronte a un cambio nell’approccio alla cura, perché è possibile agire rallentando il processo di crescita delle cisti. Tolvaptan, bloccando i recettori della vasopressina e inducendo così un’elevata diuresi, interferisce direttamente con i meccanismi che regolano la crescita delle cisti, allontanando nel tempo la necessità di doversi sottoporre a dialisi o a trapianto di rene”. Ricordiamo che la malattia genetica è stata inserita nei nuovi Livelli essenziali di assistenza come patologia cronica e invalidante.
In collaborazione con AdnKronos
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