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La sconfitta netta del PD al voto del 4 marzo ha aperto le lotte interne al partito soprattutto dopo le dimissioni di Matteo Renzi. Il segretario dem si è presentato in sala stampa al Nazareno intorno alle 18 passate del 5 marzo, dopo che per tutta la giornata si erano rincorse voci sul suo addio alla segreteria. “Lascio la guida del PD, è doveroso aprire una pagina nuova”, conferma ma sui tempi decide lui tanto che le dimissioni arriveranno solo dopo l’insediamento del nuovo governo. Il motivo è presto detto: all’interno del PD c’è già chi si sta muovendo per avviare contatti con il M5S in vista dell’elezione dei Presidenti di Camera e Senato, in programma dal 23 marzo e Renzi non vuole assolutamente sentire parlare di alleanze con chi, dice, li ha insultati fino all’altro ieri.
Se qualcuno si aspettava un Renzi sotto tono dopo la pesante batosta alle elezioni, si è dovuto ricredere. Arrivato davanti ai cronisti, ha sì riconosciuto il pesante ko ma ha anche insistito sui risultati raggiunti e soprattutto ha chiarito la nuova linea politica: il PD sarà all’opposizione, niente accordi con i Cinque Stelle o il centrodestra.
“È ovvio che io lasci dopo questo risultato la guida del PD e, come previsto dallo Statuto, ho già chiesto al presidente Matteo Orfini di convocare un’assemblea nazionale per aprire la fase congressuale: questo accadrà al termine della fase di insediamento del nuovo Parlamento e della formazione del Governo”, dichiara davanti ai cronisti.
“Il nostro posto in questa legislatura è all’opposizione”, dice sicuro. “Lì ci hanno chiesto di stare i cittadini italiani e lì staremo”. Impossibile allearsi con chi li ha “insultati, chiamati mafiosi, ladri” e chi “ha detto che abbiamo le mani sporche di sangue”.
L’occasione è ghiotta anche per togliersi qualche sassolino dalle scarpe contro chi, anche a sinistra, lo ha accusato di fare troppi “inciuci”. “Il PD è nato contro i caminetti, non diventerà la stampella di forze anti sistema. Hanno i voti per governare, che lo facciano. Si parla spesso di forze responsabili. Saremo responsabili e la nostra responsabilità sarà di stare all’opposizione”.
Renzi non svela se si candiderà ancora alla segreteria, ma chiarisce cosa farà da ora in poi. “Non c’è nessuna fuga. Terminata la fase dell’insediamento del Parlamento e della formazione del governo, io farò un lavoro che mi affascina: il senatore semplice”.
Le dimissioni annunciate però hanno scatenato una nuova lotta interna tra i dem. Il primo a scagliarsi contro Renzi è Luigi Zanda, capogruppo al Senato nella scorsa legislatura e nome che la minoranza vorrebbe portare come presidente del Senato ai Cinque Stelle. “Le dimissioni di un leader sono una cosa seria, o si danno o non si danno. E quando si decide di darle, si danno senza manovre”, dichiara a stretto giro.
Anche Andrea Orlando parla di troppi “alibi e responsabilità esterne” invece di una “piena assunzione di responsabilità” e lo accusa di voler guidare il partito alle consultazioni al Quirinale.
In effetti è proprio quello che vorrà fare, se non lui tramite i suoi fedelissimi: a colloquio con Sergio Mattarella, Renzi vorrà essere sicuro che il PD non apra ad alleanze con nessuno, specie con i 5 Stelle.
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