(Andrea Barchiesi)
Il suicidio di Tiziana Cantone ha riacceso i riflettori sul cyberbullismo e sui pericoli del web ai quali una persona può essere esposta, più o meno consapevolmente. Cosa fare in caso qualcuno abbia pubblicato video, foto o frasi che ci offendono, ci umiliano e che rischiano di rovinare per sempre la nostra vita? Meglio rivolgersi esclusivamente alla magistratura o esistono altre strade?
Abbiamo chiesto il parere ad un professionista abituato a gestire questi problemi: Andrea Barchiesi, CEO di Reputation Manager.
Cosa dovrei fare qualora mi imbattessi online in un video lesivo della mia dignità?
Rispondo con una metafora: una palla di neve può trasformarsi rapidamente in una valanga. In questi casi il tempo è il fattore cruciale. E’ fondamentale agire con velocità o la situazione diventa immensamente più complicata da gestire.
Un reputation manager non si attiva dopo settimane o dopo giorni: il suo lavoro inizia non appena riceve l’incarico dal cliente.
Meglio rivolgersi prima a un avvocato o a un reputation manager?
Rivolgersi a un avvocato che persegua l’iter legale è una scelta corretta, ma così si ottengono degli effetti solo in un periodo di tempo medio-lungo. Un contenuto sul web si diffonde in maniera virale con tempistiche immensamente più veloci rispetto a quelle della giustizia. Denuncia alla polizia, scelta di un legale di fiducia, apertura del fascicolo da parte del pubblico ministero, decisione di un giudice, applicazione della sentenza… Ci vogliono mesi se non anni, e solo per gestire singoli contenuti presenti su quelle determinate pagine web indicate al momento della denuncia. Mentre la pratica giace dentro a un archivio in attesa di essere gestita, la viralità sposta e riproduce i contenuti che vogliamo cancellare di forum in forum, di social network in social network, di testata in testata. E quando finalmente il giudice emette la sua sentenza che risolve, per ipotesi, qualche decina di casi, nel frattempo ne sono emersi altri 1500.
Ripeto: rivolgersi a un legale è una scelta corretta, ma solo per ottenere effetti in un periodo medio-lungo. Un reputation manager produce effetti più immediati.
Che succede in concreto se una persona si rivolge a un reputation manager per un video diffamatorio?
Il reputation manager studia la situazione e mette in atto una serie di verifiche, ad esempio il controllo sull’identità delle persone coinvolte, su chi ha messo in giro il video, su quali piattaforme è presente il contenuto e molto altro ancora.
La prima cosa da fare è identificare la sorgente, ovvero chi è stata la prima persona a diffondere il video. Poi andiamo a interloquire direttamente con i gestori dei provider e delle varie pagine web. Supponiamo che questi contenuti siano stati distribuiti senza consenso o violando determinati diritti: noi cerchiamo di intercettare e contattare le persone che li stanno distribuendo, dal più grande provider fino al più piccolo forum, poi cerchiamo di risalire all’identità delle persone in gioco e le contattiamo direttamente. Gli diciamo “attenzione signori, state diffondendo del materiale che sarà oggetto di denunce”. Di conseguenza riusciamo a bloccare fonte per fonte la propagazione virale del video. E’ come mettere dei paletti per cercare di smorzare la valanga. Di paletto in paletto la valanga rimpicciolisce fino a estinguersi.
Immagini che nasca un gruppo su Facebook che narra una vicenda simile a quella di Tiziana Cantone: se lo intercettiamo sul nascere il gruppo viene chiuso nel giro di qualche ora così impediamo che 2mila, 5mila, 10mila persone in più lo vedano. Ognuna di quelle persone avrebbe potuto mostrare i contenuti in questione a migliaia di altri contatti.
Utilizzate degli strumenti specifici?
La mia azienda ha sviluppato dei sistemi tecnologici ad hoc e delle strategie di tipo ingegneristico che consentono di individuare esattamente e gestire qualunque tipo di contenuto.
E se un contenuto fosse pubblicato su un sito straniero?
Si tratta di una situazione più complicata, ma non impossibile da risolvere. Negli anni infatti abbiamo trattato casi che riguardavano anche diversi provider esteri. Anche in questi casi contattiamo direttamente i provider e gli rendiamo evidente che su un determinato contenuto potrebbe esistere una pendenza legale.
L’Italia dal punto di vista normativo e giudiziario è pronta a gestire situazioni come quella di Tiziana Cantone?
L’Italia è assolutamente impreparata, ma non si tratta di un problema solo italiano: i tempi della giustizia sono gli anni, i tempi della viralità sono i minuti. Non si può chiedere alle istituzioni di reagire in tempi così veloci, o per lo meno servirebbe una nuova forma di istituzione che al momento non esiste. La polizia postale agisce secondo i cardini della legge e soprattutto agisce in modo formale. Noi invece possiamo permetterci di utilizzare anche altre forme di mediazione.
Cioè?
Il dialogo, per esempio. Noi possiamo interloquire e stabilire delle relazioni. In genere i soggetti che contattiamo sono propensi ad ascoltarci. La polizia non può muoversi secondo questi canali.
Che rapporti avete con polizia e magistratura?
Siamo sempre pronti a mettere a disposizione le nostre professionalità e il nostro know how ogni volta che ci venga richiesto.
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