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Residenza Isabella rappresenta una sfida, quella di realizzare un edificio residenziale affrancato dalla bolletta energetica, e quindi autonomo completamente dalle fonti classiche di approvvigionamento esterno, da rete. Per raggiungere questo obbiettivo ci siamo posti di fronte ad un ragionamento semplice. Se in questo spazio fosse nato un leccio, un rovere, un’altra essenza tipica di questo areale che per milioni di anni è stato il grembo delle “Paludi Pontine”, avrebbe avuto bisogno di richiedere un allaccio alla rete del gas, avrebbe chiesto ausilio al distributore dell’energia elettrica, o avrebbe avuto le attitudini a diventare un magnifico esemplare secolare di leccio, o di quercia?
Esso avrebbe sviluppato un apparato radicale possente e profondo, avrebbe spinto le sue radici in profondità a cercare acqua da far risalire lungo il tronco ed i rami veicolando sali minerali da trasformare lentamente in lignina per costruire altri rami, e foglie alla stagione. Avrebbe dispiegato un apparato fogliare calibrato a raccogliere luce e calore per compiere la sua missione originaria, quella conferita al suo primo antenato, quel cianobatterio che tre miliardi e mezzo di anni or sono ebbe l’incarico di trasformare la calotta di anidrite carbonica che soffocava il Pianeta Terra in ossigeno, avrebbe calibrato la snellezza dei suoi rami a flettersi ad ogni alito di vento per implementare la risalita della linfa fino ai rami ed alle foglie più alte, le gemme apicali, quelle incaricate di dirigere la crescita del ramo verso il baricentro dello spicchio di cielo visibile, direzione dalla quale si può ricavare il massimo di sana energia fornita dal sole.
Superato a fatica il senso di frustrazione che deriva da questo confronto guardiamo che risorse si hanno a disposizione nel sito. Una duna quaternaria sabbiosa con banchi di argilla emersa in una era geologica recente, una brezza marina costante, dati di irraggiamento tabellati e noti, un certo orientamento del lotto dovuto alla griglia di strade con la geometria di una città di fondazione e via dicendo. Se la prima regola per risparmiare è quella di spendere il meno possibile partiamo da stratigrafie orizzontali e verticali generose. Le pareti esterne costituite da una pelle in travertino, pietra locale magnifica e generosa, strato di intonaco, blocco termico da otto centimetri rinzaffato all’interno con calce e pozzolana per tre centimetri, otto centimetri di polistirene, altro blocco termico da venti centimetri e strato di intonaco interno da due centimetri.
Abbiamo una buona corteccia, al leccio sarebbe servita per mettere al riparo i vasi esterni dal sole, a noi per garantire un buon isolamento agli spazi interni. Ora passiamo a capire come approvvigionare l’energia che serve a chi andrà ad abitare questi spazi. Quel sole che al leccio sarebbe servito a sviluppare il suo lavoro di foto-sintesi a noi servirà (siamo o non siamo una società tecnologica?), a sviluppare foto-volt, preziose unità di energia che alimentano illuminazione artificiale, frigoriferi, caricabatterie per telefonini, televisori, lavapiatti. Fatto un calcolo di quanto serve si sviluppa uno scudo di rami, un rack, una struttura calibrata per dispiegare un apparato fogliare che garantisca tre Kwh per appartamento e dodici per i servizi condominiali. Abbiamo le nostre foglie. Al silicio, ma questo passa la casa, a prezzi accessibili, nel corrente Anno del Signore 2013. Ma i consumi in un normale appartamento se ne vanno anche per garantire un confort ambientale, riscaldamento d’inverno, un po’ di fresco d’estate, e quegli apparati risultano, nonostante gli sforzi dei costruttori, particolarmente energivori.
Il leccio spinge le sue radici in profondità, non solo per una logicità statica, ma anche per garantirsi una certa costanza della temperatura dell’acqua che assume dal terreno per attivare il suo ciclo linfatico, che è un ciclo metabolico. Andiamo sotto pure noi, foriamo, (in termini tecnici realizziamo un campo geotermico), mandiamo giù un tubo che va a cento metri e quando torna sù ci dà acqua a temperatura stabilizzata intorno a diciotto gradi. Temperatura magnifica, sia che io voglia farla scorrere sotto il pavimento per raffrescare la mia casa durante l’estate che se decido di dargli una scaldatina d’inverno, quando fuori la temperatura è notevolmente più bassa. Ma in natura tutti i cicli metabolici funzionano in coppia, è difficile trovare una funzione che venga disimpegnata da un solo meccanismo, e quando questo succede c’è una fragilità, una criticità.
Tornando al leccio, che deve garantire al flusso di linfa in risalita dalle radici una temperatura pressoché costante che ottimizzi il ciclo di trasformazione dei sali minerali assunti dal terreno in lignina, in corteccia, in foglie, in riserva energetica, troviamo che stabilizza questa temperatura sfruttando anche il vento che scorre sulle pagine fogliari o che agita i suoi rami attraverso il complessivo apparato delle foglie stesse. Poi abbiamo applicato il raffrescamento naturale, ispirato direttamente dalle ancestrali termiti. Invenzione arcaica, quella di raffrescare l’aria senza freon, fatta propria nelle antiche case arabe e campidanesi, nelle case contadine che i costruttori munivano di grotte, fatte proprie da Palladio, che con questo sistema climatizzava, per dirla alla maniera di oggi, le grandi ville venete per cui lo ammiriamo solo per la sua gigantesca statura di architetto classico. Nello specifico di Residenza Isabella abbiamo costruito quattro cavedi all’estremità dell’edificio da cui prendiamo aria, a livello di copertura. La veicoliamo sotto il piano di calpestio dei garages, dove la presenza delle travi rovesce di fondazione ci dava già un cuscino di aria notevole al riparo dalle variazione stagionali, qui l’aria stabilizza la propria temperatura naturalmente, poi la veicoliamo attraverso altri quattro cavedi in risalita dove la utilizziamo, attraverso uno scambiatore aria-aria ed un deumidificatore, per il raffrescamento estivo dell’aria interna agli appartamenti.
Niente a che fare con la micidiale complessità di un termitaio, ma vale sempre il detto che ‘un soldo risparmiato…’. Poi le serre bioclimatiche, il cui funzionamento e la cui efficacia dal punto di vista dell’efficientamento energetico è noto non da ora. Con una attenzione in più. Invece della serra classica ad una sola parete, una innovazione, la doppia parete, blu esterna per catturare più calore,
trasparente all’interno. Praticamente una serra a volume d’aria, in qualche modo attiva. Il calore che si concentra all’interno della bolla d’inverno viene veicolato addosso all’abitazione, permettendo un abbattimento dei consumi per riscaldamento di circa il diciassette per cento, d’estate viene convogliata in una sorta di camino che raffresca la controparete trasparente interna.
Rimaneva un ultimo soldino di energia, l’aria calda che viene a formarsi sotto lo scudo fotovoltaico, dove ho steso una serpentina di tubi di alluminio ad alto spessore che assorbe calore, lo convoglia ai piedi della pompa di calore in parallelo con il geotermico dando una dotazione aggiuntiva preziosa di energia termica gratis, e, regalo non trascurabile, abbassa la temperatura di esercizio del fotovoltaico mettendolo in condizione di lavorare meglio e di produrre di più. Il risultato più emozionante? Non quello di produrre più energia di quanta l’edificio ne consumi, ma di aver evitato l’emissione in atmosfera di una bolla di anidrite carbonica che abbiamo graficizzato sullo skyline urbano. Inquietante, da togliere il sonno.
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