Non è solo la questione coprifuoco a spaccare in due la politica e l’opinione pubblica, c’è un altro punto del nuovo decreto Covid, che entrerà in vigore lunedì 26 aprile, ad accendere il dibattito, ovvero la riapertura della scuola.
L’idea di Mario Draghi era inizialmente quella di far tornare tutti gli studenti di tutte le classi e gradi in presenza, ma ha dovuto rivedere i suoi piani vista l’ostilità di alcuni governatori delle Regioni, che vedono nel ritorno in classe un veicolo di contagio: la richiesta era stata quella di mantenere la Dad il più possibile per evitare l’insorgere di focolai e soprattutto visto il nodo nodo mai risolto dei trasporti.
Il premier e le Regioni erano giunte a un compromesso, mettendo come soglia minima, esclusivamente per le scuole superiori, il 60% in presenza. Ora però delle nuove regole presenti nel decreto si legge sono altri numeri. Infatti, se scuole materne, elementari e medie saranno in presenza al 100%, alle scuole superiori è garantita una relativa flessibilità, ma con un minimo di studenti in classe più alto: in zona gialla e arancione la presenza deve essere tra il 70 e il 100%, mentre in zona rossa tra il 50 e il 75%. La maggiore percentuale minima è stata voluta da Draghi.
Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli-Venezia Giulia e della Conferenza delle regioni e delle province autonome, ha commentato molto duramente questo cambiamento dei numeri, parlando di rapporto incrinato tra stato e regioni. Questo perché, ha spiegato, sarebbe stato violato un accordo preso precedentemente. Tornare in presenza con numeri così alti metterebbe in difficoltà la gestione della rete dei trasporti, rischiando di dare il via a nuovi focolai.
La ministra degli Affari regionali Gelmini ha comunque rassicurato sul fatto che nei casi nei quali non è possibile garantire il minimo del 70% di presenza, sarà possibile per i governatori delle regioni fare alcune deroghe: nei prossimi giorni verranno resi noti i termini delle possibilità di modifica del minimo di presenza.
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