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Il caso Weinstein ha portato alla ribalta il tema del ricatto sessuale o della sex torsion. Il potente produttore di Hollywood e la schiera di attrici che, dopo decenni, hanno denunciato le molestie o le violenze sessuali purtroppo è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno enorme. Secondo i dati Istat, riconfermati nella relazione sulla violenza contro le donne nel settembre 2017, sono 1 milione e 403mila le donne vittime di molestie e ricatti sessuali sul lavoro rilevate nel 2016: un dato che potrebbe essere in difetto rispetto alla realtà, come spesso accade, ma che già da solo costringe a guardare il ricatto sessuale con un altro sguardo. Stiamo entrando su un terreno molto scivoloso, dove i pregiudizi sulle vittime pesano molto più della legge, per di più non sempre risolutiva. Eppure denunciare la sex torsion o le molestie sul luogo di lavoro è la prima cosa da fare per proteggersi: vediamo i dettagli.
Che il ricatto sessuale o le molestie sul luogo di lavoro non siano prerogativa del mondo dello spettacolo ce lo racconta anche un hastag, lanciato su Twitter, #quellavoltache in italiano, #meetoo in inglese. Scorrendo la timeline, si intravedono storie di quotidiana violenza: non è solo Asia Argento a essere presa di mira perché “in fondo se l’è cercata” e “ha denunciato tardi, quando non le ha fatto più comodo”.
Ci sono ragazze, donne, lavoratrici, casalinghe, libere professioniste che raccontano i commenti delle Forze dell’Ordine alla denuncia di una violenza, quei “ma lei com’era vestita?”, “ma lo sa che la denuncia è una cosa seria” che sembrano ripetersi come uno squallido copione di becero maschilismo o di quando, dopo un successo sul lavoro, sono arrivate pesanti allusioni sessuali.
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Cos’è esattamente il ricatto sessuale? Quando si può parlare di ricatto sessuale o molestie sul luogo di lavoro? Come avviene la sex torsion sul web? Soprattutto cosa fare per proteggersi?
Il ricatto sessuale è una fattispecie di ricatto o estorsione che viene definito come un qualsiasi comportamento, a connotazione sessuale o fondato sull’appartenenza di genere, indesiderato e lesivo della dignità della persona.
Il ricatto sessuale o sex torsion in inglese, è un tipo di violenza che non sempre degenera in un’azione fisica a sfondo sessuale: possono anche essere parole, frasi e gesti che ledono la dignità e la propria libertà di autodeterminazione, subiti dalle vittime per via del proprio genere sessuale. Può bastare anche un solo gesto perché si configuri la molestia, senza la sua ripetizione (come invece avviene per lo stalking).
[npleggi id=”https://www.nanopress.it/cronaca/2016/11/03/come-difendersi-dallo-stalking-riferimenti-e-consigli-per-chiedere-aiuto/63487/” testo=”Cosa fare e come difendersi dallo stalking”]
Nella maggior parte dei casi le vittime sono donne, in una dinamica spesso simile per molti tipi di ricatti sessuali: una persona, quasi sempre un uomo, sfrutta una posizione di dominio per ottenere contatti fisici non consenzienti o per infliggere comportamenti degradanti e offensivi della dignità a sfondo sessuale.
Uno degli ambiti in cui avviene con più frequenza è il luogo di lavoro, tra molestie o ricatti sessuali da parte del datore di lavoro, e i pregiudizi dei colleghi. Spesso si crea un clima talmente invivibile per le vittime che molte cedono e cambiano lavoro o, peggio ancora, tacciono per la paura di perdere l’impiego.
È il caso della vicenda Weinstein: uno dei produttori più potenti di Hollywood e del mondo dello spettacolo internazionale che ha abusato della sua posizione per violentare o molestare attrici alle prime armi, chiedendo sesso in cambio di una carriera nel cinema.
Come anticipato, il fenomeno delle molestie sessuali sul lavoro in Italia è già noto da tempo. L’Istat lo ha monitorato negli anni passati, dando numeri aggiornati a settembre 2017 in occasione della relazione al Parlamento sulla violenza di genere.
Nel 2016, l’Istituto di statistica ha stimato in 1 milione e 403mila le donne che hanno subìto, nel corso della loro vita lavorativa, molestie o ricatti sessuali sul posto di lavoro, l’8,9% delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione.
In particolare, i ricatti sessuali sono avvenuti per lo più per ottenere o mantenere un lavoro o per fare carriera: secondo l’Istat sono 1 milione e 100mila le donne (1.173mila pari al 7,5% delle donne) che ne sono state vittime.
I dati sono stime in difetto, come già successo per gli stupri: solo una donna su 5, tra quelle che hanno subito un ricatto, ha raccontato la propria esperienza, parlandone soprattutto con i colleghi (8,1%) o con il datore di lavoro, dirigenti o sindacati: quasi nessuna (0,7%) ha sporto denuncia alle autorità competenti.
Le vittime di ricatti sessuali sul lavoro, secondo i dati Istat, sono soprattutto donne senza lavoro rispetto alle occupate, indipendenti più che dipendenti, impiegate e dirigenti più che operaie.
Un altro aspetto dei ricatti sessuale è la pratica della sex torsion sul web, fenomeno complesso che tocca purtroppo anche i minori. Si tratta di estorsione a sfondo sessuale via internet, spesso via chat o tramite social, diverso dal sexting (qui la nostra definizione di sexting e tutte le informazioni utili) o dal revenge porn.
In questo caso si tratta di un vero ricatto perpetrato da terze persone con la richiesta di denaro per non pubblicare foto o video osé di cui è entrato in possesso. Si può cadere nella trappola in chat, cedendo a lusinghe e a pseudo-corteggiamenti oppure essere vittime di furti, come accadde nella vicenda di Luis Mijangos, hacker e ricattatore seriale che entrava nei pc delle sue vittime tramite la webcam, trafugando materiali a sfondo sessuali.
Riconoscere un ricatto sessuale per le vittime non sempre è immediato e soprattutto semplice. Il caso più immediato è quello della sex torsion via web, quando il ricattatore avanza la richiesta di soldi, ma negli altri il confine è più sottile.
Pensiamo al ricatto sessuale sul posto di lavoro: vivendo in un contesto sociale intriso di maschilismo, molte donne faticano a leggere nelle allusioni fisiche o sessuali delle molestie o un ricatto, preferendo derubricare la cosa a “complimenti” del capo o dei colleghi. Invece, così facendo si crea quel clima di sottomissione psicologica che rende la vittima più vulnerabile, facile preda di chi ha una posizione dominante, specie in un ambito competitivo com’è il lavoro.
Tutto quello che è lesivo della propria dignità e che ha a che fare col genere sessuale, dalle battutine sulla minigonna alla “toccatina” fugace, fino alle molestie verbali e, nei casi peggiori, rapporti sessuali non consenzienti, è un ricatto sessuale.
Una precisazione è d’obbligo. La molestia sessuale è un reato che rientra nella fattispecie dell’articolo 609 bis del codice penale sulla violenza sessuale. Il testo recita che “chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni”, con pena identica per chi “induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto”.
Non esistendo una legge specifica, il riferimento è la legge del 1996 che, nel corso degli anni, è stata usata nei casi di molestie sessuali sul lavoro, reato distinto dalla semplice molestia, definito all’art. 660 cp (“Molestia o disturbo alle persone. Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516”).
Colpa dei pregiudizi o di chi proprio non vuol capire cosa significa “abusare dell’inferiorità fisica o psichica della persona offesa”, spesso si dice che la vittima di un ricatto sessuale “poteva anche dire di no” o peggio ancora “ha sfruttato il suo corpo per fare carriera”, come se ci fosse un confine netto tra le molestie sessuali sul lavoro e lo stupro.
Invece, il confine è labile e spesso si valica dall’altra parte, come ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 4 ottobre 2012, n. 38719 per cui “gesti a sfondo sessuale ed allusioni” diventano un “tentativo di violenza sessuale, nel caso in cui la vittima non abbia possibilità di fuga”, specificando che è tale “pur in mancanza del contatto fisico tra imputato e persona offesa”, se si riscontra il “requisito soggettivo dell’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell’idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale”.
Non solo. La quinta sezione penale della Cassazione, nel confermare la condanna inflitta dalla Corte d’appello di Milano al responsabile del servizio cultura di un Comune della provincia, ha parlato di “stalking professionale” quando “si accerti la commissione reiterata di atti di aggressione e di molestia idonei a creare nella vittima lo ‘status’ di persona lesa nella propria libertà morale, condizionata da costante stato di ansia e di paura”, chiarendo che le violenze morali o gli atteggiamenti oppressivi sono “persecuzioni professionali”.
Proteggersi dai ricatti sessuali non è sempre semplice. Se si parla di sex torsion sul web, è possibile attuare una serie di accortezze, come evitare di mandare materiale privato a sconosciuti in chat o sui social, pubblicare il meno possibile foto o video a rischio e cercare di raccogliere più informazioni possibili sul ricattatore, in modo da procedere alla denuncia.
Sul lavoro tutto diventa più difficile. Non solo si ha paura di perdere l’impiego o di essere penalizzati, ma spesso si fa fatica a dimostrare la molestia e il ricatto sessuale.
Nonostante le difficoltà, le paure e i pregiudizi, la sola cosa da fare per proteggersi è denunciare, magari coinvolgendo sindacati o ordini professionali, anche con l’aiuto delle tante associazioni e centri antiviolenza (qui un elenco per Regioni aggiornato a settembre 2016)
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