Ogni giorno siamo costretti a convivere con un gran numero di patologie che limitano la vita dei cittadini e li obbligano a lunghe interruzioni nella loro quotidianità, a una lotta – talvolta disperata – per sopravvivere e alla fine questa battaglia può anche finire male, e potrebbe succedere anche ai propri cari. Insomma, ridurre il più possibile ciò che causa la malattia è già un ottimo punto di partenza per cercare di evitare un gran numero di decessi. Per questo, l’Oms continua a insistere sui rischi che il sale presenta per tutti coloro che ne usano più del dovuto. Pensate che si stima che diminuendo il suo utilizzo in cucina fino ai parametri indicati, si potrebbero evitare addirittura due milioni di morti ogni anno.
Ci sono molte cose che sottovalutiamo nella vita di tutti i giorni, ma che alla lunga possono rappresentare grossi problemi per la nostra salute. Tra queste, sicuramente c’è anche l’utilizzo di sale. Di certo, molte delle nostre mamme e soprattutto nonne, zie o chiunque vogliate ne usava un quantitativo enorme senza neanche accorgersene per dare sapore ai cibi o rendere determinate pietanze più succulente e gustose. Oggi non è che la situazione vada tanto meglio, soprattutto perché le cose non sono migliorate poi così tanto negli ultimi anni. L’allarme lanciato nel 2013 dall’Oms non è stato ascoltato così bene. Ripercorriamo la storia degli ultimi anni sull’argomento e cercando di capire cosa succederebbe se il piano fosse realmente applicato e se questo non dovesse succedere.
In epoche antiche, quando i mezzi tecnologici non potevano per forza di cose essere quelli attuali, il sale ha rivestito un ruolo iconico, semplicemente essenziale nella società. Era usato, infatti, per conservare la carne, gli alimenti e man mano il suo utilizzo nelle cucine italiane e di tutti i Paesi è diventato imprescindibile, spesso senza rispettare la parte sapida di determinati alimenti.
Già solo mangiando un piatto di pasta possono essere introdotte nell’organismo quantità non indifferenti di sodio e la situazione peggiora se si prendono in considerazione la pizza, i prodotti del pane e soprattutto i prodotti fritti in cui abbonda sia nei ripieni sia nelle panature. A dispetto dei cibi che vi abbiamo citato in questa prima disamina, quello del sale, però, non è un problema tutto italiano. Anche e forse soprattutto all’estero, infatti, l’utilizzo di cibi contenenti alte quantità di sodio è all’ordine del giorno.
Basta pensare a tutti i fast food che dominano le abitudini degli americani e che puntualmente finiscono sulle tavole e nello stomaco di intere famiglie e anche ai prodotti cucinati da diversi ristoranti che spesso abusano di quei granelli bianchi come fossero la portata principale. Assumere determinate abitudini – soprattutto fin da bambini – non solo non rispetta cibi come pesce, pane, pasta o prodotti inscatolati che già presentano quantità sufficienti di sodio, ma rappresenta un grave rischio per la salute.
Non fraintendiamoci, consumare una dose giornaliera adeguata di sale, come di liquidi, è fondamentale per mantenere a giusti livelli l’omeostasi di determinati sistemi. È semplicemente essenziale per la contrazione muscolare, ad esempio, e in generale per le funzioni che il nostro organismo deve compiere ogni giorno. Introducendo il sale con la dieta, dal punto di vista chimico, si mettono in circolo sodio e cloro. È importante che ogni individuo presti attenzione ad assumerlo, in modo da preservare la regolazione dell’equilibrio acido-base, la distribuzione dei liquidi e il volume totale di sangue che fluisce nel nostro corpo.
Le sue funzioni, però, non terminano assolutamente qui. È proprio il sale che determina la distribuzione di liquidi all’interno e all’esterno della cellula e le loro concentrazioni; inoltre, è utile anche per la trasmissione dell’impulso nervoso. Non si può neanche ignorare l’importanza di questa sostanza per chi lavora in cucina. In tutto il mondo, si utilizza ancora oggi per conservare i cibi o disidratarli, oppure semplicemente per insaporirli e donargli quella parte satura che soddisfa uno dei nostri sensi, dotato di recettori specifici per captarlo e trovare piacere dai pasti.
I problemi, però, arrivano in gran misura non perché si limita troppo l’utilizzo di sale, ma quando se ne fa un uso smodato. E spesso le persone sono assolutamente convinte di non abusarne, solo perché le manciate che utilizzano per condire le pietanze non gli sembrano poi così alte. Chi pratica la nutrizione clinica o anche chi svolge determinati sport a livello agonistico, invece, sa bene come non ci voglia tanto a raggiungere determinati tetti di sale ingeriti ogni giorno.
L’Organizzazione mondiale della sanità, in breve chiamata Oms, ha redatto delle linee guida ben precise riguardante gli introiti di sodio e, quindi, di sale in tutto il mondo. Le dosi raccomandate per gli adulti corrispondono alla necessità di non consumare più di 5 grammi di sale al giorno, che corrispondono esattamente a 2 mg di sodio. Per i bambini i parametri sono ancora più stretti, dato che si parla di 2 grammi di sale al massimo al giorno, che equivalgono a 800 mg di sodio.
Ma vediamo nello specifico cosa succede se, invece, anche nel prossimo futuro questi livelli non venissero rispettati, che è esattamente quello che sta succedendo negli ultimi anni. Usare il sale in maniera scorretta e con quantità spropositate porta a un trasferimento di acqua nel sangue e nel liquido extracellulare. Insomma, la cellula si disidrata e si svuota, come fosse rinsecchita. Le conseguenze per la salute non sono affatto difficili da immaginare: aumentano a dismisura i rischi di formazione di edema e soprattutto la pressione si alza. Il sale, infatti, rappresenta ancora oggi uno dei principali motivi dell’ipertensione arteriosa e, di conseguenza, a problemi cardiaci, in molti casi.
Non sono comunque le uniche patologie che possono insorgere in seguito a un uso smodato di sale. In generale, oltre ai problemi cardiaci di vario tipo, è sempre più provata una correlazione con i tumori dello stomaco. Poi, attenzione alle malattie a carico dei vasi sanguigni e dei reni, soprattutto per chi dovesse essere predisposto a casa di predisposizione ambientale o genetica. Infine, in tanti sostengono che sarebbe alla base di diversi eventi di osteoporosi, visto che la forte presenza di sodio nell’organismo induce all’eliminazione del sodio attraverso i reni.
Il consumo di dosi sufficienti di potassio e iodio può aiutare, anche se abbinato ovviamente alla riduzione del sale introdotto con la dieta. Proprio lo iodio rappresenta un micronutriente essenziale per la formazione degli ormoni tiroidei, che hanno una serie di funzioni per lo sviluppo del sistema nervoso, ma soprattutto per il corretto funzionamento del metabolismo. Una dieta che manchi delle giuste quantità di iodio può portare a una serie di patologie a carico della tiroide, come ad esempio il gozzo, la formazione di noduli o l’ipotiroidismo, cioè un lavoro ridotto della ghiandola.
Per tornare all’utilizzo di sale, è stato provato anche che, più nello specifico, introiti troppo alti del prodotto possono portare anche a morte diretta con eventi come ictus o infarto, soprattutto se associati a mancanza di moto e quadri di obesità prolungata e grave. Abbiamo accennato anche all’importanza del potassio, ma anche su questo tema bisogna prestare particolare attenzione, perché potrebbe risultare pericoloso per soggetti che soffrono già di patologie renali o che assumono per altri motivi determinate classi di farmaci. In ogni caso, quindi, è sempre importante non adottare soluzioni fai da te ed essere seguiti da un medico competente, anche solo per chi volesse sostituire il classico sale da cucina con le sue alternative iposodiche.
Intanto, a questo punto, vediamo quali potrebbero essere le soluzioni per chi volesse ridurre l’apporto di sodio ingerito attraverso la dieta. La prima cosa a cui prestare attenzione è sicuramente la scelta degli alimenti che si acquistano al supermercato o al ristorante. In pochi sono consapevoli della quantità di sale che contengono determinati prodotti e, invece, è talmente elevata che si stima che il 75% di sodio introdotto deriva proprio da cibi processati e confezionati. Un’enormità a cui va posto un freno, a partire dai consumatori. Scelte consapevoli e consumi orientati potrebbero portare alla lunga anche a un adattamento corposo da parte dell’intero sistema e molte grosse ditte sarebbero portate a ridurre la quantità di sodio che inseriscono nelle preparazioni. L’importante per chi acquista è orientarsi alla scelta leggendo attentamente le etichette dei prodotti che indicano chiaramente la composizione del cibo e cosa è contenuto esattamente al suo interno. Sarebbe importante anche perché così tutti terremmo traccia del preciso sale che assumiamo ogni giorno, in modo da capire quando stiamo eccedendo.
E poi, anche in questo, è la stessa Oms a indicare quali siano i passaggi corretti per stare più attenti. Le varie app e i servizi di consegna a domicilio che stanno spopolando negli ultimi anni, secondo quanto riferisce l’Organizzazione, porta al consumo di cibi comfort e che spesso danno piacere immediato al consumatore. Il punto è che l’healthy spesso non è proprio la priorità, mentre gli utenti preferiscono molto di più prodotti carichi di zuccheri, sale e grassi saturi, quelli che fanno più male alla salute. Bisognerebbe tornare a prediligere questa scelta solo ogni tanto, ma nella nostra routine alimentare è meglio orientarsi sul cucinare cibi fatti in casa, per cui l’unico fattore a cui prestare attenzione è appunto il sale da cucina che decidiamo di aggiungere alle pietanze. Ma ora entriamo più nello specifico dell’allarme lanciato dall’Oms e cercando di capire quali potrebbero essere le prossime mosse in tal senso.
L’Organizzazione mondiale della sanità ha esposto già nel 2013 un piano ben formulato per limitare in maniera corposa le assunzioni di sale entro il 2025. Tutti i 194 Paesi che aderiscono all’Oms hanno accolto con favore la proposta, ma in sostanza non è cambiato molto, anzi. Questo perché solo il 5% ha deciso effettivamente di mettere in pratica le politiche adatte e tra questi non c’è neanche l’Italia. Ora di tempo ce n’è pochissimo e, infatti, sono arrivate nuove linee guida e un progetto ancora una volta ben chiaro.
Nell’ultimo rapporto, la World Health Organization ha lanciato nuovamente l’allarme e scandendo dei tempi ancora più stretti per mettere una pezza su un problema che sta diventando sempre più consistente per la salute dei cittadini. Proprio all’interno di questo rapporto, si possono leggere le dichiarazioni di Francesco Branca, che ricopre il ruolo di direttore del dipartimento di Nutrizione per la Salute e lo Sviluppo dell’Oms. Sono parole ben precise e che non possono essere più ignorate: “I progressi sono stati lenti: una manciata di nazioni è riuscita a ridurre concretamente il consumo di sale nella popolazione, ma nessuna ha ancora centrato l’obiettivo – afferma Branca –. Proprio per questa ragione, stiamo valutando la possibilità di estendere l’obiettivo al 2030“.
Anche con un margine di cinque anni in più, però, non è così semplice che scatti un cambio di mentalità così radicale in chi produce determinati prodotti e ovviamente nei consumatori, ma anche nelle politiche adottate dalla politica. Di sicuro, è importante partire dalle raccomandazioni arrivate proprio dall’Oms per poi adeguare le ragioni delle varie nazioni. I dati, in ogni caso, fino a questo momento sono impietosi: a livello mondiale, si attesta un consumo medio di sale che è ancora decisamente più alto rispetto ai livelli che vengono indicati dalle linee guida. Si parla di un utilizzo di circa 10,8 grammi di sale al giorno, moltissimo rispetto a quanto si dovrebbe fare.
Se vogliamo guardare, invece, a cosa succede in Italia, bisogna tenere conto dei dati riferiti dall’Istituto Superiore di Sanità. La cifra nel Paese tricolore è un po’ più bassa, ma si ferma comunque a 9,5 grammi di sale consumati mediamente dagli uomini. I dati sono migliori per le donne, che arrivano ‘solo’ a 7,2. In realtà, nonostante l’Italia sia ancora lontana dall’obiettivo fissato per il 2025, la nostra nazione ha evidenziato una significativa riduzione del 12% nei consumi. Neanche la metà rispetto a quanto l’Oms si aspettava, ma comunque un primo passo verso un cambio di mentalità radicale.
Numeri di questo tipo, se guardiamo al bicchiere mezzo pieno, derivano sicuramente da alcune regole che l’Italia ha deciso di adottare. Da noi, infatti, vige una misura obbligatoria che impone la dichiarazione del contenuto in sodio sui cibi confezionati. Quello che per molti rappresenta un passo importante, in realtà non conta poi così tanto per l’Oms che ha deciso di bocciare il nostro operatore, valutandoci con il basso punteggio di 2 in relazione all’obiettivo della riduzione del 30% entro il 2025 che era stato raccomandato. Se vediamo a ciò che succede in Europa solo Repubblica Ceca, Spagna e Lituania sono state valutate con quattro punti, e si tratta di quel minuscolo 5% di Paesi che sono reputati ancora nella giusta direzione per arrivare alla diminuzione di un terzo tra i due anni.
Comunque vada, di sicuro quest’allarme non può passare inosservato. La politica può aiutare, ma dobbiamo essere noi come cittadini a imporci degli stili di vita mirati alla preservazione della salute dell’individuo. Altrimenti il prezzo sarà carissimo: se davvero l’obiettivo dell’Organizzazione mondiale della sanità dovesse essere rispettato, allora due milioni di persone ogni anno potrebbero salvarsi. Se non basta questo a scuotere le coscienze, allora cosa può farlo?
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