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Il 4 dicembre gli italiani sono chiamati alle urne per il voto sul referendum costituzionale. I cittadini maggiorenni dovranno votare sì o no alla riforma costituzionale che vede come prima firmataria la ministra per le Riforme, Maria Elena Boschi, già approvata dal Parlamento e pubblicata in Gazzetta. La decisione di indire un referendum è stata presa per confermare o meno con il voto popolare quanto deciso dai parlamentari in merito alla modifica della Costituzione per quello che riguarda il superamento del bicameralismo paritario e la riforma del Titolo V: voluto dalle opposizioni e dal governo, il voto referendario darà parola agli elettori che potranno decidere se accettare o no le modifiche alla Carta costituzionale.
Cosa e perché si vota al referendum?
Il referendum del 4 dicembre è un referendum costituzionale o confermativo: a differenza di quello abrogativo, sarà valido con qualsiasi affluenza alle urne. I cittadini italiani dovranno votare sì o no alla riforma Boschi, indicando se vogliono confermare le modifiche previste dalla riforma o vogliono rigettarle. Il referendum costituzionale è previsto dall’articolo 138 della Costituzione e si rende possibile se, entro tre mesi dalla pubblicazione, ne fanno richiesta un quinto dei membri di una Camera, 500mila elettori o cinque Consigli regionali, come è avvenuto nel caso attuale, quando a chiederlo sono state le opposizioni, con il consenso del governo. Il referendum è stato indetto anche perché, in seconda votazione, Camera e Senato non hanno raggiunto la maggioranza di due terzi dei suoi componenti, ma solo quella assoluta.
Come abbiamo già anticipato, il referendum costituzionale è diverso da quello abrogativo e non ha bisogno di raggiungere il quorum (cioè la maggioranza degli elettori aventi diritto): quale che sia l’affluenza alle urne, l’esito del voto sarà considerato valido.
La struttura della riforma costituzionale
Al centro del voto c’è la riforma costituzionale firmata dalla ministra Boschi e sostenuta dal governo Renzi. La riforma si struttura in due parti principali: il superamento del bicameralismo paritario e le modifiche al Titolo V della Costituzione, voci che si trovano anche sulla scheda del referendum. La prima voce riguarda la composizione del Parlamento che, seguendo la riforma, dovrebbe cambiare volto con un nuovo Senato delle autonomie territoriali, dalle funzioni diverse rispetto la Camera dei Deputati. La seconda invece va a toccare le competenze Stato-Regioni, ridistribuendole secondo una direttiva più centralista. La riforma prevede altri temi, presenti sempre sulla scheda elettorale, come la soppressione del Cnel.
Bicameralismo perfetto vs bicameralismo differenziato
Il bicameralismo paritario o perfetto è l’attuale composizione del Parlamento italiano, composto da Camera e Senato con identiche funzioni: entrambi i rami del Parlamento votano su tutte le leggi ed entrambi hanno piena funzione legislativa. La riforma cambia il volto del Parlamento con un bicameralismo differenziato, creando un nuovo Senato composto da 100 senatori (e non 315 come gli attuali), scelti tra sindaci e consiglieri regionali, che, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe diventare la Camera delle autonomie locali. Il nuovo Senato avrà poteri diversi rispetto alla Camera, non dovendo più votare su tutte le leggi e con un rapporto diverso anche con il governo.
Come anticipato, il Senato che potrebbe uscire dal voto del referendum non avrà tanto una funzione politica quanto quella di rappresentanza degli enti locali, cioè delle Regioni. In questo senso, il nuovo Senato non darà il voto di fiducia al governo, che spetterà solo alla Camera dei deputati.
Il nuovo Senato
La fine del bicameralismo paritario prevista dalla riforma costituzionale prevede la creazione di un nuovo Senato, diverso da quello attuale per composizione, elezione e soprattutto poteri. L’impianto generale prevede che l’assemblea di Palazzo Madama sia composta da 100 membri scelti tra la rappresentanza locale (Regioni, città metropolitane e sindaci) allo scopo di rappresentare le autonomie territoriali a livello nazionale.
Uno degli aspetti che potrebbe cambiare è l’elezione del nuovo Senato che la riforma cambia da diretta a indiretta. A scegliere i senatori saranno i consigli regionali, a loro volta eletti dai cittadini.
L’assemblea di Palazzo Madama prevista dalla riforma avrà nuove funzioni, diverse da quelle attuali. Il nuovo Senato non darà più la fiducia al governo e non sarà più una Camera di indirizzo politico. Per quanto riguarda la funzione legislativa, la nuova Camera dovrebbe diventare la voce delle Regioni nell’approvazione delle leggi, mentre al Senato spetterà l’elezione di due dei cinque giudici della Corte Costituzionale di nomina parlamentare, oltre a partecipare all’elezione del Presidente della Repubblica.
Il nuovo Senato avrà comunque un ruolo nell’approvazione delle leggi ma sarà diverso rispetto a quello attuale che prevede la stessa funzione legislativa della Camera (e quindi doppia approvazione per ogni legge). Anche con la riforma costituzionale ci saranno materie che prevedono la funzione legislativa di entrambi i rami del Parlamento. In linea generale però sarà solo la Camera ad approvare le leggi, lasciando al Senato la possibilità di chiedere modifiche solo in un secondo momento.
La riforma prevede che il nuovo Senato abbia 15 giorni di tempo per chiedere modifiche alla legge di bilancio che è la più politica delle leggi previste dall’ordinamento. Con l’assetto del bicameralismo differenziato, il Senato non ha più funzione politica, non dovendo dare più la fiducia al governo. L’elezione dei nuovi senatori potrebbe portare a una Camera con la minoranza politica rappresentata in maggioranza che potrebbe così mettersi di traverso e bloccare l’iter del governo.
Come anticipato, alcune materie rimangono bicamerali, cioè riferite a entrambe le Camere. Le leggi di modifica della Costituzione, quelle relative ai referendum e tutte quelle sulle autonomie locali e che regolano il Senato rimangono bicamerali. Anche le ratifiche dei trattati internazionali avranno necessità del doppio voto.
Il titolo V
La modifica del Titolo V andrà a toccare le competenze Stato-Regioni, ridando al potere centrale alcune materie che attualmente sono in mano alle istituzioni regionali e mettendo un confine netto tra le competenze statali e quelle regionali. La riforma dà maggiore importanza al potere centrale anche con la clausola di supremazia secondo il principio che le leggi statali hanno la precedenza su quelle regionali.
L’abolizione del CNEL
Una delle voci della riforma costituzionale riguarda l’abolizione del Cnel. Il Consiglio Nazionale sull’Economia e Lavoro è infatti previsto in Costituzione e il progetto di riforma va proprio a eliminarlo dalla Carta, dando così il via libera alla sua soppressione con legge ordinaria).
Taglio dei costi della politica
Il tema del taglio dei costi della politica è invece più complesso. Da una parte, la riduzione a 100 senatori che non avranno diritto all’indennità, è una voce di risparmio per il bilancio di spesa. Dall’altra, la maggior parte dei costi della politica non deriva dai costi dovuti all’indennità ma dai costi dei servizi di funzionamento. Bisognerà vedere dunque come saranno messe in pratica, tenendo presente che i senatori, non presenti a Roma in sede stabile, avranno bisogno di supporto perché il Senato funzioni.
Gli strumenti di democrazia diretta
Altro punto che la riforma va a modificare riguarda i referendum e le leggi di iniziativa popolare, cioè gli istituti di democrazia diretta. Si tratta di istituzioni garantite in Costituzione che prevedono il voto diretto dei cittadini su materie spesso complesse, come è il caso attuale del referendum costituzionale.
Oggi, il referendum può essere indetto se si raccolgono 500mila firme di altrettanti elettori o se lo richiedono cinque Consigli Regionali, ma per essere valido si deve raggiungere il quorum, superare cioè il 50 percento più uno degli aventi diritto. Con la riforma si aggiunge un’altra possibilità: nel caso in cui si superino le 800mila firme, il quorum per validare il voto si abbassa e diventa un quorum mobile, vale a dire la metà degli elettori alle ultime elezioni politiche.
L’altro strumento di democrazia diretta che viene toccato dalla riforma è la proposta di legge di iniziativa popolare, cioè leggi proposte dai cittadini. Oggi questo è possibile presentando 50mila firme a sostegno della proposta di legge; con la riforma diventano 150mila, prevedendo però che il Parlamento garantisca la discussione della proposta in tempi certi.
Le garanzie costituzionali
Venendo meno la parità delle due Camere, la riforma mette mano alle garanzie costituzionali, a partire dalla Corte Costituzionale che, con la riforma, potrebbe avere una piccola modifica nella composizione dei cinque giudici di nomina parlamentare: con la riforma si passerà da 5 eletti in seduta comune a tre giudici nominati dalla Camera e due del Senato.
Pro e contro della riforma costituzionale
La riforma costituzionale presenta dei pro e dei contro. Per quello che riguarda l’aspetto della forma di governo, sembra condivisibile il superamento del bicameralismo perfetto, con il rapporto di fiducia tra governo e Parlamento affidato alla sola Camera dei deputati, espressiva degli interessi politici. Più critico invece il volto del nuovo Senato con l’elezione dei senatori, affidata a Consigli Regionali con metodo proporzionale: il rischio è che gli eletti potrebbero aggregarsi più in base all’appartenenza politica che su base territoriale.
A livello più globale, la maggiore linearità dei processi decisionali potrebbe essere l’aspetto più positivo della riforma, puntando a dare maggiore coerenza all’indirizzo politico voluto dagli organi di governo. Anche la correzione di alcuni aspetti del Titolo V, modificati con la riforma del 2001 e che l’esperienza ha portato a definire errori, è sicuramente positiva. Gli aspetti negativi vertono soprattutto sulle criticità nella formazione del Senato e i poteri della nuova Camera delle autonomie territoriali che potrebbero essere sbilanciati in un senso o nell’altro.
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