Il decreto attuativo sul contratto a tutele crescenti, approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 dicembre scorso, di attuazione della Legge n 183/2014 (c.d. Jobs Act) riscrive le norme sulla gestione dei licenziamenti illegittimi. La sua operatività è ipotizzata per il mese di gennaio in modo da raccordarsi con gli incentivi contenuti nella legge di stabilità a sostegno del nuovo contratto a tutele crescenti.
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Per quanto riguarda il decreto attuativo sul contratto a tutele crescenti che ha riscritto le norme sulla gestione dei licenziamenti illegittimi i lavoratori licenziati al termine di una procedura di licenziamento collettivo potranno ottenere, in caso di impugnazione del recesso e di esito vittorioso della causa, un doppio tipo di tutela, dal contenuto sostanzialmente identico al regime previsto per i casi individuali.
Questa novità, una volta entrata in vigore, si applicherà tuttavia soltanto ai nuovi assunti con il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti mentre per i lavoratori già alle dipendenze della società a tale data, continueranno a trovare applicazioni le regole sino ad oggi vigenti.
Il decreto attuativo in questione prevede che per il licenziamento collettivo intimato senza forma scritta si applica la normativa prevista per il recesso orale vigente ossia il diritto del lavoratore ad avere la reintegrazione sul posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno, in misura pari alle retribuzioni che avrebbe percepito dalla data della perdita del lavoro sino a quella della effettiva riammissione in servizio.
Per il licenziamento collettivo, viziato dalla violazione di una delle regole procedurali previste dalla Legge n. 223/1991, oppure dalla violazione dei criteri di scelta legali o contrattuali ex art 4 della medesima, si applicherà invece, la disciplina prevista per il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo.
In pratica, l’innovazione si traduce nella possibilità, per i casi di violazioni delle procedure e dei criteri di scelta, di ottenere un risarcimento del danno in misura pari a due mensilità lorde per ciascun anno di lavoro, da un minimo di quattro sino ad un massimo di ventiquattro mensilità.
E’ importante specificare che la Riforma tocca solo il regime sanzionatorio mentre non impatta sulle regole di svolgimento della procedura collettiva prevista nella Legge n. 223/1991.
L’impresa, che ha un organico composto da più di quindici lavoratori, ha l’obbligo di attivare la procedura ogni volta si intenda licenziare un gruppo di almeno cinque dipendenti nell’arco di 120 giorni.
La scelta di unificare il regime sanzionatorio applicabile ai licenziamenti economici individuali ai collettivi è stata molto discussa e criticata in quanto la previsione del Jobs Act di determinare un doppio binario nella gestione dei licenziamenti crea una disparità di trattamento fra i lavoratori sia nei licenziamenti individuali e ora anche nei licenziamenti collettivi.
Infatti, stando alla lettera del decreto attuativo, la nuova normativa sui licenziamenti si applica ai lavoratori “assunti (…) a decorrere dalla data di entrata di entrata in vigore del presente decreto.”
Pertanto, fra i vari lavoratori licenziati in una procedura collettiva per violazione dei criteri di scelta ex art 4 Legge 223/1991 bisognerà distinguere fra quelli assunti prima dell’attuale Riforma, che mantengono il diritto ad essere reintegrati in caso di licenziamento dichiarato dal Giudice illegittimo, e quelli assunti dopo l’entrata in vigore della Legge 183/2014(Jobs Act) ai quali invece verrebbe negato il rimedio della reintegrazione ma applicato solo l’indennizzo economico.
Certo, una simile previsione potrebbe generare la nascita di non pochi contenziosi innanzi al Tribunale, qualora il lavoratore impugnasse il licenziamento collettivo per violazione dei criteri di scelta, vanificandosi così l’intento del legislatore di ridimensionare il potere dell’autorità giudiziaria.
Una volta cessato il rapporto di lavoro, secondo la nuova normativa di cui alla legge delega, i lavoratori assunti con la nuova tipologia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti avranno diritto al contratto di ricollocazione ricevendo dal centro per l’impiego un voucher da utilizzare presso un’agenzia per il lavoro pubblica o privata che sarà pagata solo a collocamento avvenuto.
Per quanto concerne, invece, le sanzioni previste a carico dell’impresa in caso di licenziamento discriminatorio, il decreto attuativo approvato recentemente dal Consiglio dei Ministri non cancella la tutela reale in caso di licenziamento discriminatorio. Infatti, in quest’ultimo caso, il Decreto, coerentemente con la Delega dispone che il Giudice ordini la reintegrazione del lavoratore quando ravvisi “la nullità del licenziamento perché discriminatorio ovvero riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge” indipendentemente dal motivo formalmente addotto.
L’art. 3 della legge 108/1990 definisce il licenziamento discriminatorio attraverso il rinvio ad altre due norme specifiche: la prima è l’art 4 della legge 604/1966 (licenziamento determinato da credo politico, religioso, dall’appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali); la seconda è l’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori così come integrato da disposizioni successive che ne hanno esteso la portata.
In conclusione, a partire dall’entrata in vigore del decreto attuativo sul contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, la tutela reale di cui all’art 18 Statuto dei Lavoratori sussisterà solo in caso di licenziamento disciplinare “solo se il fatto materiale non sussiste”, in caso di licenziamento discriminatorio, e in caso di licenziamento collettivo intimato senza l’osservanza della forma scritta.
Quanto agli effetti della Legge n. 183/2014 non rimane che attendere le prime applicazioni.
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